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1 anno ago · · 0 comments

La rana bollita di Noam Chomsky

Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana.
Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano.

Presto diventa tiepida.
La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare.

La temperatura sale.
Adesso l’acqua è calda.
Un po’ più di quanto la rana non apprezzi.
Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa.

L’acqua adesso è davvero troppo calda.
La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire.
Allora sopporta e non fa nulla.

Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita.
Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50°C avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.

Tratto dal libro “Media e Potere” di Noam Chomsky

La rana bollita

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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute – percorsi individuali, di coppia e in gruppo: in presenza e online
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2 anni ago · · 0 comments

I due lupi – leggenda Cherokee

Un giorno, un nonno e suo nipote si fermano a guardare il tramontare del sole.
In quel mentre, il bimbo chiede al nonno, un saggio capo Cherokee : “Nonno, perché gli uomini combattono?”
Il vecchio, con voce calma, gli risponde: ”Ogni uomo, prima o poi, è chiamato a farlo. Per ogni uomo c’è sempre una battaglia che aspetta di essere combattuta, che sia da vincere o da perdere. Perché lo scontro più feroce è quello che avviene fra i due lupi.”
“Quali lupi nonno?”
“Quelli che ogni uomo porta dentro di sé.” I
l bambino non riusciva a capire.
Attese che il nonno rompesse l’attimo di silenzio che aveva lasciato cadere tra loro, forse per accendere la sua curiosità.
Infine il vecchio che aveva dentro di sé la saggezza del tempo riprese con il suo tono calmo: “Ci sono due lupi in ognuno di noi. Uno è cattivo e vive di odio, gelosia, invidia, risentimento, falso orgoglio, menzogna ed egoismo.” Il vecchio fece di nuovo una pausa, questa volta per dargli modo di capire quello che aveva appena detto.
“E l’altro?”
“L’altro è il lupo buono. Vive di pace, amore, speranza, generosità, compassione, umiltà e fede.”
Il bambino rimase a pensare un istante a quello che il nonno gli aveva appena raccontato.
Poi diede voce alla sua curiosità ed al suo pensiero: “E quale lupo vince?”
Il vecchio Cherokee si girò a guardarlo e rispose con occhi puliti: “Quello che nutri di più.”

I due lupi – leggenda Cherokee

 

3 anni ago · · 0 comments

Amarilla – appunti di un viaggio a sei zampe di Emanuele Grandi

Se hai paura di avermi dato poche carezze,

sappi che non ne ho scordata nemmeno una.

Se sei pentita di avermi sgridato anche solo una volta, sappi che io nemmeno me la ricordo.

Se pensi di avermi lasciato troppo tempo da sola, sappi che io ti ho sempre aspettato.

Se temi di avermi dedicato poco tempo, sappi che io, anche di quel poco, ne ho goduto ogni istante.

Se credi di aver giocato poco con me, sappi che io non ho mai contato le volte in cui mi hai lanciato la pallina.

Se pensi che io abbia dimenticato il tuo profumo, sappi che anche adesso lo sto annusando nel vento.

Se tu volessi rinascere in un’altra vita, sappi che io vorrei essere la tua cagnolina anche in quella.

Se sei convinta di avere qualche difetto, sappi che per me tu sei stata la perfezione.

Se credi che l’ amore possa avere una fine, sappi che nel mio cuore il posto per l’ amore è infinito.

Se pensi di nutrire dei rimpianti verso me, sappi che io non cambierei un solo secondo della vita che ho trascorso con te.

Se credi che io non senta più la tua voce quando mi chiami, basta che tu affidi alla brezza della sera il compito di portarmi le tue parole.

Se pensi che io possa scordare il tuo viso, sappi che avrei voluto vivere solamente per godere di un tuo sguardo.

Se credi che avrei potuto amare qualcuno più di te, sappi che io ti ho amato più di me stessa.

Se pensi che mi piacerebbe un morbido divano, sappi che con te avrei dormito anche sui sassi.

Se credi che io volessi più di ciò che mi hai dato, sappi che io mi sono sempre sentita la cagnolina più felice e ricca del mondo.

Se a volte ti sei sentita sola, sappi che io non ho mai lasciato il mio posto accanto a te.

Se pensi che la mia vita sia stata breve, sappi che io non avrei voluto vivere nemmeno un minuto in più se non lo avessi passato al tuo fianco.

Se temi che io non sia più vicino a te, sappi che appena chiuderai gli occhi io mi addormenterò al tuo fianco.

Se pensi di non aver fatto la scelta giusta, sappi che io mi sono sempre fidata di te.

Sempre.

Se sogni un giorno di potermi rivedere, sappi che sarò lì ad aspettarti.

Come ho sempre fatto.

 

Amarilla – appunti di un viaggio a sei zampe di Emanuele Grandi

3 anni ago · · 0 comments

Una poesia anche per te di Elisa

Forse non sai quel che darei
Perché tu sia felice
Piangi lacrime di aria
Lacrime invisibili
Che solamente gli angeli
San portar via
Ma cambierà stagione
Ci saranno nuove rose
E ci sarà
Dentro te e al di là
Dell’orizzonte
Una piccola poesia
Ci sarà
E forse esiste già al di là
Dell’orizzonte
Una poesia anche per te
Vorrei rinascere per te
E ricominciare insieme come se
Non sentissi più dolore
Ma tu hai tessuto sogni di cristallo
Troppo coraggiosi e fragili
Per morire adesso
Solo per un rimpianto
Ci sarà
Dentro e te e al di là
Dell’orizzonte
Una piccola poesia
Ci sarà
Dentro e te e al di là
Dell’orizzonte
Una poesia anche per te
Perdona e dimenticherai
Per quanto possa fare male in fondo sai
Che sei ancora qui
E dare tutto e dare tanto
Quanto il tempo in cui
Il tuo segno rimarrà
Questo nodo lo sciolga il sole
Come sa fare con la neve
Ci sarà
Dentro te e al di là
Dell’orizzonte
Una piccola poesia
Ci sarà
E forse esiste già al di là
Dell’orizzonte
Una poesia anche per te
Anche per te
Solo per te
Per te

Una poesia anche per te di Elisa

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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute – percorsi individuali, di coppia e in gruppo: in presenza e online
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3 anni ago · · 0 comments

Quando la casa dei nonni si chiude di Antonio Cotardo

Uno dei momenti più tristi della nostra vita é quando la porta della casa dei nonni si chiude per sempre.
Una volta chiusa quella porta non ci saranno più i pomeriggi felici con zii, cugini, nipoti, genitori fratelli e sorelle.

Ve lo ricordate? Non era necessario andare al ristorante la domenica. Si andava a casa dei nonni.
A Natale la nonna bucava l’ozono con le sue fritture mentre il nonno si dedicava all’arrosto facendo puntualmente bruciare la canna fumaria. La tavola era lunghissima e veniva apparecchiata nella stanza più grande.

Adesso la casa è chiusa ed è rimasta soltanto la polvere. Un cartello vendesi. Nessuno la vuole quella casa. È vecchia. Va ristrutturata. Costa troppo.
Cazzo ne sapete di quanto vale la casa dei nonni. La casa dei nonni non ha un valore.

E così passano gli anni. Non ci sono più regali da scartare. Frittate da mangiare. Verdure da pulire.

Quando la casa dei nonni si chiude ci ritroviamo adulti senza capire quando abbiamo smesso di essere bambini.

Certo per i nonni saremo sempre piccoli e indifesi. Sempre.

I nonni avevano sempre il caffè pronto. La pasta. Il vino. Le caramelle..
Poi finisce tutto. Non ci sono più le canzoni. Non si fa più la pasta fatta in casa….. Siete andati via troppo presto porca miseria.

Io volevo fare la salsa ancora una volta. Il mirto. Le chiacchiere. E il liquore all’alloro.
Io volevo ancora accatastare la legna con te nonno, anzi grazie per avermelo insegnato. E grazie per gli insegnamenti sulla vita. E sulla campagna. E sul giardinaggio.
Ora quando passo guardo quella casa e mi viene sempre l’abitudine di parcheggiare. E di buttare giù il campanello. E di sentire la nonna gridare che porco giuda non sono modi quelli. Scusa nonna. Non suonerò più il campanello.
Al massimo quando mi capiterà di pensarvi di nuovo, come ora, canterò una canzone. Quella preferita dal nonno. Un amore così grande. ❤️

Quando la casa dei nonni si chiude

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Francesca Di Donato – Psicologa
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3 anni ago · · 0 comments

Il sogno di Sokei

Una porta socchiusa lasciava intravedere la figura di Sokei, in ginocchio. Davanti allo sguardo attento dell’allievo di Chojiro, uno dei migliori ceramisti di Kyoto, erano disposte trenta palline di creta. Sokei aveva trascorso tutta la mattina in silenzio, prendendole tra le mani e riponendole di nuovo sul tavolo. Aveva analizzato tutte le palline, una per volta. All’improvviso, abbozzò un sorriso. Finalmente aveva trovato quella giusta! Sokei era una persona intelligente e caparbia. Scegliere la pallina di creta più adeguata era per lui di fondamentale importanza, dal momento che ognuna è diversa al tatto e ispira al maestro una particolare sensazione. La differenza tra l’ordinario e lo straordinario risiede nella minuziosità del dettaglio, e Sokei era deciso a creare qualcosa di unico.

Fece una riverenza con le mani giunte sul petto alla pallina prescelta e si dispose a raccoglierla con delicatezza, assaporando tutte le sensazioni associate a quel momento tanto speciale. Senti la consistenza umida e leggermente fredda del materiale. La sua anima entrò in contatto con quella della creta, con la sua storia e con il viaggio che aveva compiuto per arrivare tra le sue mani.

Sokei aveva impiegato giorni interi a cercare il materiale che più si confacesse al suo lavoro. I suoi passi l’avevano condotto a boschi, fiumi, e persino alle rive del lago Biwa. Lì aveva chiuso gli occhi, mentre affondava le mani nella terra per potersi connettere al meglio con la sua essenza. In quel momento, nel suo laboratorio, poteva ricordare uno a uno tutti i sogni riposti nella sua scelta e si sentì fortunato e pieno di gratitudine.

Si sedette su un angolo vicino alla finestra, nel luogo in cui aveva passato tante ore a imparare. I giovani oggi hanno fretta di apprendere e, se non ci riescono al primo colpo, si spazientiscono, si demotivano e lasciano perdere. Non sanno che imparare e consolidare ciò che si è appreso è una cosa che richiede tempo e un’attitudine recettiva e curiosa. Tuttavia, Sokei non era un giovane come gli altri, aveva la pazienza degli anziani e il desiderio di conoscenza di un bambino. La sua mente era un turbine di pensieri, i suoi occhi illuminati dalla speranza e il cuore batteva frenetico per l’attesa. Sapeva di vivere un momento molto speciale, ma sapeva anche di dover mantenere il corpo, la mente e l’anima.

Chojiro lo stava guardando da un altro angolo del laboratorio:” I giovani sono così pieni di vita”, pensò. Tuttavia Sokei era diverso. Aveva una sensibilità particolare e una straordinaria forza emozionale. Chojiro sapeva di avere di fronte a sé il suo successore, un giovane con la pace interiori di chi ha già vissuto la sua vita e l’energia di chi ce l’ha ancora davanti.

Sokei toccava la creta ad occhi chiusi, l’attenzione volta interamente a impastarla, sentendo le dita fondersi con lei, con la terra, la natura e l’arte. In quel momento ogni cosa gli sembrava possibile, perché ognuna delle infinite forme che abitavano la creta stava aspettando di connettersi con le mani del ceramista. Lui le immaginava e le sentiva tutte, una per una. Aveva cominciato a lavorare la creta per farne una ciotola, focalizzando la sua mente soltanto nel qui e ora, perché non si fanno mai bene due cose nello stesso momento. Sapeva che, se davvero voleva ottenere un risultato eccellente, non poteva concedersi alcuna distrazione. Era così concentrato che perse la nozione del tempo e dello spazio. L’universo intero era nelle sue mani. Esistevano solo lui e la sua ciotola. Sapeva che la bellezza sta nella semplicità e che lo straordinario non richiede particolari orpelli, e, mosso da questo pensiero, decorò la sua opera con sobrietà. Il risultato fu una ciotola austera. L’essenziale è bello. Il rustico è ispirazione. L’autenticità è forza. Per Sokei, l’opera a cui stava lavorando era una proiezione della sua anima, della sua vita, della creatività e di una mente ormai libera. Gli ornamenti della ciotola tracciavano un percorso per la storia delle sue mani, la spiritualità della sua esistenza e il suo amore per la natura.

Chojro preparò il forno per il momento chiave del processo il più complesso, ma anche il più bello. Sokei infilò la ciotola nel forno. A poco a poco, quella iniziò a cambiare colore per l’effetto della temperatura e, quando divenne bianca, la afferrò saldamente con delle pinze di ferro e la depositò in un recipiente pieno di trucioli di legno. Il fumo e le fiamme abbracciarono la ciotola di Sokei, fondendosi in una cosa sola, diventando una nuova entità. Anche le decorazioni volevano far parte di quella danza trasformatrice, con il loro delicato caleidoscopio di colori e forme. Sokei contemplava il processo con l’euforia trattenuta di chi è testimone diretto della nascita di qualcosa di unico. Riusciva a stento a trattenere l’emozione. Infine giunse il momento di estrarre la ciotola. Fuoco, terra e aria avevano disegnato forme aleatorie e capricciose, donandole luci e ombre. Dopo tanto tempo, dedizione e pazienza, Sokei aveva finalmente davanti a sé il risultato del suo lavoro e del suo amore. Ed è così bello che non potè evitare di sussultare. Un brivido gli scese lungo la schiena e sentii sul collo il fiato freddo di Buruburu, il fantasma della paura. Un tremore pervase il suo corpo, comprese le mani, tanto che la bellissima ciotola calda cadde a terra e si ruppe in sei pezzi. Sokei mise da parte le pinze di ferro e si inginocchiò accanto ai cocci, in silenzio, con un’espressione di incredulità sul volto. Le mani continuavano a tremare, dagli occhi cominciarono a sgorgare lacrime. Che vita effimera aveva avuto la sua creazione. Finché una mano non gli si posò con delicatezza sulla spalla.

“Non piangere, Sokei” gli disse Chojro.

“Ma è la mia vita. Come posso non piangere?” rispose l’allievo.

“Fai bene a dedicare tutta la tua vita e la tua passione alla tua opera, però la ceramica è bella e fragile, proprio come la vita. La ceramica e la vita possono rompersi in mille pezzi, ma non per questo dobbiamo smettere di vivere intensamente, di lavorare con impegno o di riporre nella nostra esistenza le nostre speranze. Quello che dobbiamo fare non è evitare di vivere, ma imparare a ricomporci dopo le avversità. Raccogli i cocci, Sokei, è arrivato il momento di aggiustare le tue illusioni. Ciò che è rotto può essere ricomposto e, quando lo farai, non cercare di nascondere la sua apparente fragilità giacché si è trasformata ora in una forza manifesta. Caro Sokei, è arrivato il momento che ti spieghi una nuova tecnica, l’arte ancestrale del Kintsukuroi, perché tu possa ricomporre la tua vita, le tue illusioni e il tuo lavoro. Vai a prendere l’oro che custodisco nella cassetta sull’ultimo scaffale.”

Il sogno di Sokei

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3 anni ago · · 0 comments

Dalai Lama

  • “Tieni sempre conto del fatto che un grande amore e dei grandi risultati comportano un grande rischio”. Qualsiasi cosa che valga la pena vivere comporta un grande rischio, semplicemente perché, come ogni cosa importante, richiede un investimento di fiducia e di energia. Sii coraggioso, dimostra al tuo sogno e al tuo cuore che lo desideri davvero.
  • “Quando perdi non perdere la lezione.” Non esiste fallimento se sai imparare dai i tuoi errori e dai tuoi sbagli. Quando una relazione finisce e senti di “aver fallito”, quando il lavoro non va come vorresti e senti di “aver fallito”, quando non riesci a recuperare una sensazione, a chiarire un litigio e a riuscire in quella cosa così importante e senti di “aver fallito” ricordati che non è finita lì, non hai fallito, hai solo prodotto un risultato dal quale hai un’occasione di imparare: sono lezioni, semplici feedback nel lungo viaggio della vita.
  • Segui sempre le 3 “R”: Rispetto per gli altri, Rispetto per gli altri, Responsabilità per le tue azioni.” Sii te stesso autenticamente e rispetta i tuoi valori, trova il modo visto che ce n’è sempre uno, per unire il rispetto per te stesso al rispetto e alla comprensione dell’altro, mettiti nei tuoi panni e chiediti qual è il modo migliore per rispettare l’unicità di quella persona. E, infine, qualsiasi cosa tu decida di fare non dimenticare che la responsabilità non è mail della situazione, del posto in cui vivi, degli altri o della società, sono sempre le TUE azioni e scelte a fare la differenza.
  • “Quando ti accorgi di aver commesso un errore, fai immediatamente qualcosa per correggerlo” Notalo, ammettilo a te stesso, non ti punire e allo stesso tempo non ignorarlo. Pensa al modo migliore per correggerti e per dare una nuova direzione alla situazione. L’errore è il tuo punto di partenza. Tocca a te scegliere dove andare ora e come.
  • “Apri le braccia al cambiamento, ma non lasciare fuori i tuoi valori.” Ovunque scegli di andare, con chiunque tu voglia condividere il tuo viaggio tieni sempre la bussola sui tuoi valori cardine. Forse la direzione non è definitiva, forse non sai come andrà la tua relazione o non sai se quello sia il lavoro giusto per te, ma non importa. Continua a vivere secondo i tuoi valori e aggiusta la rotta man mano che procedi nel tuo viaggio. Accogli gli imprevisti, le novità, le fini e i nuovi inizi, tutto questo fa parte della vita e opporsi al cambiamento è una battaglia persa dal principio. La vita è cambiamento. Scegli di abbracciarlo.
  • “Impara bene le regole, in modo da infrangerle nel modo giusto”. Informati, approfondisci, scopri secondo quali regola sta giocando la società e il mondo in cui vivi e trova le tue regole. Va bene sia che siano le stesse sia che siano diverse. Sapere è potere. Avere bene chiaro “come gira il mondo” ti permette di infrangere le regole che non sono allineate coi tuoi principi profondi, senza sacrificare il tuo vivere con gli altri e i principi di sana convivenza. Si lega a “ama e fa ciò che vuoi”.
  • “Sii gentile con la Terra.” è la tua casa. Bastano piccoli gesti.
  • “Almeno una volta l’anno, vai in un posto dove non sei mai stato.” Esci dalla tua zona di confort. Apri la mente e vai alla scoperta di nuovi mondi. Il viaggio, qualsiasi viaggio, è una nuova esperienza se affrontata con entusiasmo e l’apertura alla novità e al diverso ti regalo nuove prospettive sulla via e su te stesso, occhi nuovi con cui guardare il mondo e la consapevolezza che esistono infinite possibilità da vivere e scoprire.
  • “Il miglior rapporto è quello in cui ci si ama di più di quanto si abbia bisogno l’uno dell’altro.” Per quanto suoni male, sarebbe egoista da parte nostra costruire e nutrire un rapporto, solo perché ci sentiamo infelici, bisognosi e insicuri senza di esso. Rendere la tua vita meravigliosa è il dono più grande che puoi fare a chi ami. Se sai essere felice da solo, sei pronto per amare davvero.
  • “Dona a chi ami ali per volare, radici per tornare e motivi per rimanere.” Sii libero e concedi la libertà alle persone accanto a te. Quando nutri le relazioni di gentilezza e rispetto e dedichi tempo e amore alle persone intorno a te, hai appena regalato ali e radici, nonché un ottimo motivo per rimanere accanto.
  • “Ci sono solo due giorni all’anno in cui non puoi fare niente: uno dei due si chiama ieri e l’altro si chiama domani, perciò oggi è il giorno giusto per amare, credere, fare e, principalmente, vivere.” Hai presente quelle parole che hai paura di dire? Dille adesso! Hai presente tutte le cose meravigliose che hai in questo istante nella vita? Godile e apprezzale!
  • “Nessuno è nato sotto una cattiva stella; ci sono semmai uomini che guardano male il cielo.” Guarda il cielo. Senti il calore del sole sulla pelle o semplicemente osserva le nuvole passare. Respira profondamente, lascia che l’aria riempia i tuoi polmoni e ascolta il battito del tuo cuore. Non è forse abbastanza per cominciare la giornata col sorriso e scegliere di essere la migliore versione di te stesso? C’è così tanto al mondo per cui essere grati. Solo tu puoi scegliere con che occhi guardare il cielo che ti avvolge.

Perché come dice il Dalai Lama: “Le decisioni sono un modo per definire sè stessi. Sono il modo per dare vita e significato ai sogni. Sono il modo per farci diventare ciò che vogliamo.”

Dalai lama
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Famiglia. Tratto da una storia vera. Francesca Di Donato

3 anni ago · · 0 comments

Famiglia. Tratto da una storia vera. Francesca Di Donato

Roma. Metropolitana.

Tragitto stazione Termini – Eur.

Entro, trovo posto a sedere. Le fermate sono molte, quindi va più che bene sapere di farmi il tragitto seduta. Ne approfitto per rilassarmi un po’.

A circa quattro fermate dalla mia tappa di arrivo, accade qualcosa di improvviso, un trambusto fatto i persone che si muovono e qualcuno che urla, la persona accanto a me si alza veloce, e un uomo alto, sulla 40ina posa il bambino sul sedile. Lo guardo. Il bambino, intendo. È bianco. Completamente bianco in volto. Velocemente noto il padre, padrone della situazione, in ginocchio davanti al bambino, ma la mia attenzione è catturata subito dalla donna, che è in piedi, oltre il bambino, quindi è un po’ distante da me: piange, urla spaventata, trema.

Con una naturale propensione, mi alzo, mi avvicino a lei e, mentre io le tendo la mano, lei me l’afferra, e guardandomi in modo implorante dice “aiutami!”. Sembra una bambina, completamente disarmata. Provo una tenerezza infinita.

La guardo fissa negli occhi e con calma la invito a respirare insieme a me, di farlo più lentamente, e l’ho percepito che si stava affidando, tanto che ho iniziato a sentire la mano meno serrata, ma comunque piena nella presa alla mia. Le dico, con voce posata, che ora è importante stare calma per suo figlio -che nel frattempo avevo scorto avesse riaperto gli occhi e che era lì accudito dal padre-, le dico che lui ha bisogno di lei in quel momento e che non è sola, ci sono io lì con lei. Mi ha fatto cenno con la testa di aver capito.

C’era un posto libero vicino a suo figlio, le chiedo se vuole sedersi. Lo fa e, nel mentre, continua a tenermi la mano. Resto in piedi, accanto a lei, e inizio anche ad accarezzarle la testa.

Come si siede, vedo quell’uomo, che davvero in quel momento stava impersonificando il ruolo del padre e del marito: da padre, lo ascolto che parla al figlio, con voce pacata e ferma; lo vedo che lo osserva attento e, inoltre, per stimolarlo al dialogo, sento che gli propone una Coca-Cola. Nel mentre, da marito, tiene la mano sul ginocchio di sua moglie e la rassicurava dicendole “guardalo, le labbra stanno riprendendo colore, sono rosse, tranquilla”.

Lì in quel momento c’era un UOMO: fermo, calmo, presente in tutti i modi in cui fosse possibile esserlo.

Arriva la loro fermata. Questo Papà e Marito, prende il bambino in braccio e dice a sua moglie “dai, andiamo a prendere una coca cola tutti insieme”. Lei si alza. Mi guarda. Mi ringrazia. Lui la chiama per nome e ripete, sempre con voce ferma e calma, guardandola dritta negli occhi, “andiamo, la Coca cola ci aspetta”. Lei lo raggiunge. Escono dalla metropolitana. Li vedo allontanarsi, mentre la metro riparte.

Ecco.

Oggi ti dono questo: l’immagine di una FAMIGLIA in un momento di crisi gestito con AMORE.

File: Famiglia

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Monologo di Rula Jebreal.

3 anni ago · · 0 comments

Monologo di Rula Jebreal.

Sono cresciuta in un orfanotrofio, insieme a centinaia di bambine.

La sera, una per volta, noi bambine raccontavamo una storia, le nostre storie.

Erano una specie di favole tristi.

Non favole di mamme che conciliano il sonno, ma favole di figlie sfortunate, che il sonno lo toglievano.

Ci raccontavamo delle nostre madri: torturate, uccise, violentate.

Ogni sera, prima di dormire, ci liberavamo tutte insieme di quelle parole di dolore.

Io amo le parole.

Ho imparato, venendo da luoghi di guerra, a credere nelle parole e non ai fucili, per cercare di rendere il mondo un posto migliore.

Anche e soprattutto per le donne.

Ma poi ci sono i numeri.

E in Italia, in questo magnifico Paese che mi ha accolto, i numeri sono spietati: ogni 3 giorni viene uccisa una donna, 6 donne sono state uccise la scorsa settimana.

E nell’85% dei casi, il carnefice non ha bisogno di bussare alla porta per un motivo molto semplice: ha le chiavi di casa.

Ci sono le sue impronte sullo zerbino, l’ombra delle sue labbra sul bicchiere in cucina.

Mia madre Zakia, che tutti chiamavano Nadia, ha preso il suo ultimo treno quando io avevo 5 anni.

Si è suicidata, dandosi fuoco.

Ma il dolore era una fiamma lenta che aveva cominciato a salire e ad annerirle i vestiti quando era solo un’adolescente.

Il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi, era stato la sua tortura. Perché mia madre Nadia fu stuprata e brutalizzata due volte: a 13 anni da un uomo e poi dal sistema che l’ha costretta al silenzio, che non le ha consentito di denunciare.

Le ferite sanguinano di più quando non si è creduti. L’uomo che l’ha violentata per anni, il cui ricordo incancellabile era con lei, mentre le fiamme mangiavano il suo corpo, aveva le chiavi di casa.

Mentre Franca Rame veniva violentata il 9 marzo del 1973, cercò salvezza nella musica.

“Devo stare calma. Devo stare calma. Mi attacco ai rumori della città, alle parole delle canzoni, devo stare calma”, recitava nel suo potente monologo “Lo stupro”, in cui ripercorreva quel fatto drammatico.

Le parole delle canzoni possono essere messaggi d’amore e di salvezza.

Io sono diventata la donna che sono perché lo dovevo a mia madre, lo devo a mia figlia che è seduta in mezzo a voi.

Lo dobbiamo tutte, tutti, a una madre, una figlia, una sorella, al nostro paese, anche agli uomini, all’idea stessa di civiltà e uguaglianza.

All’idea più grande di tutte: quella di libertà.

Parlo agli uomini, adesso.

Lasciateci libere di essere ciò che vogliamo essere: madri di dieci figli e madri di nessuno, casalinghe e carrieriste, madonne e puttane, lasciateci fare quello che vogliamo del nostro corpo e ribellatevi insieme a noi, quando qualcuno ci dice cosa dobbiamo farne.

Siate nostri complici.

E quando qualcuno ci chiede “Lei cosa ha fatto per meritare ciò che è accaduto?”

Sono stata scelta stasera per celebrare la musica e le donne, ma sono qui per parlare delle cose di cui è necessario parlare.

Certo ho messo un bel vestito.

Domani chiedetevi pure al bar “Com’era vestita Rula?”.

Che non si chieda mai più, però, a una donna che è stata stuprata: “Com’era vestita, lei, quella notte?”.

Mia madre ha avuto paura di quella domanda.

Mia madre non ce l’ha fatta.

E così tante donne.

E noi non vogliamo più avere paura.

Vogliamo essere amate.

Lo devo a mia madre, lo dobbiamo a noi stesse, alla nostre figlie.

Nessuno può permettersi il diritto di addormentarci con una favola.

Vogliamo essere note, silenzi, rumori, libere nel tempo e nello spazio.

Vogliamo essere questo: musica.

Monologo di Rula Jebreal

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Le tre passioni di Bertrand Russel

Tre passioni, semplici ma straordinariamente forti, hanno governato la mia vita:
la sete d’amore,
la ricerca della conoscenza, e una
struggente compassione per le sofferenze dell’umanità.
Queste passioni, come venti possenti, mi hanno spinto ora qua ora là, in un volo capriccioso, facendomi vagare sopra un profondo oceano di angoscia, fino a che ho raggiunto il limite estremo della disperazione.

Ho cercato l’amore, soprattutto perché l’amore è estasi, un’estasi talmente grande che spesso sarei stato pronto a sacrificare il resto della mia vita in cambio di poche ore di tale gioia.
E poi l’ho cercato perché mitiga la solitudine, quella terribile solitudine nella quale una coscienza tremante vede, al di là dei confini del mondo, il freddo e tenebroso abisso senza vita.
E infine l’ho cercato perché nel congiungimento d’amore ho visto, come in una mistica miniatura, la visione che prefigura quello stesso paradiso che hanno immaginato di vedere i santi e i poeti.
Questo è quello che ho cercato, e, sebbene possa sembrare troppo per la vita umana, questo è ciò che, alla fine, ho trovato.

Con eguale passione ho cercato la conoscenza.
Ho desiderato comprendere i sentimenti degli uomini.
Ho desiderato sapere perché le stelle brillano e ho tentato di afferrare la regola pitagorica che esprime numericamente ogni cambiamento nell’eterno fluire delle cose.
I miei desideri in questo senso sono stati esauditi, ma solo in piccola parte.

L’amore e la conoscenza, per quanto mi è stato dato di goderne, mi hanno sollevato fino a toccare il paradiso.

Ma, ogni volta, la pietà mi ha ricondotto sulla terra.
L’eco delle grida di dolore risuonavano nel mio cuore.
Bambini affamati, vittime torturate dai loro oppressori, anziani indifesi considerati un odioso fardello dai loro figli; e tutta la solitudine, la povertà e il dolore, si facevano beffa di ciò che la vita umana avrebbe dovuto essere.
Desidero fortemente alleviare i mali del mondo, ma non posso farlo e ne soffro.

Questa è la mia vita.
L’ho trovata degna di essere vissuta, e, se ne avessi la possibilità, sarei felice di viverla di nuovo.

Le tre passioni

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