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4 anni ago · · 0 comments

Il sogno di Sokei

Una porta socchiusa lasciava intravedere la figura di Sokei, in ginocchio. Davanti allo sguardo attento dell’allievo di Chojiro, uno dei migliori ceramisti di Kyoto, erano disposte trenta palline di creta. Sokei aveva trascorso tutta la mattina in silenzio, prendendole tra le mani e riponendole di nuovo sul tavolo. Aveva analizzato tutte le palline, una per volta. All’improvviso, abbozzò un sorriso. Finalmente aveva trovato quella giusta! Sokei era una persona intelligente e caparbia. Scegliere la pallina di creta più adeguata era per lui di fondamentale importanza, dal momento che ognuna è diversa al tatto e ispira al maestro una particolare sensazione. La differenza tra l’ordinario e lo straordinario risiede nella minuziosità del dettaglio, e Sokei era deciso a creare qualcosa di unico.

Fece una riverenza con le mani giunte sul petto alla pallina prescelta e si dispose a raccoglierla con delicatezza, assaporando tutte le sensazioni associate a quel momento tanto speciale. Senti la consistenza umida e leggermente fredda del materiale. La sua anima entrò in contatto con quella della creta, con la sua storia e con il viaggio che aveva compiuto per arrivare tra le sue mani.

Sokei aveva impiegato giorni interi a cercare il materiale che più si confacesse al suo lavoro. I suoi passi l’avevano condotto a boschi, fiumi, e persino alle rive del lago Biwa. Lì aveva chiuso gli occhi, mentre affondava le mani nella terra per potersi connettere al meglio con la sua essenza. In quel momento, nel suo laboratorio, poteva ricordare uno a uno tutti i sogni riposti nella sua scelta e si sentì fortunato e pieno di gratitudine.

Si sedette su un angolo vicino alla finestra, nel luogo in cui aveva passato tante ore a imparare. I giovani oggi hanno fretta di apprendere e, se non ci riescono al primo colpo, si spazientiscono, si demotivano e lasciano perdere. Non sanno che imparare e consolidare ciò che si è appreso è una cosa che richiede tempo e un’attitudine recettiva e curiosa. Tuttavia, Sokei non era un giovane come gli altri, aveva la pazienza degli anziani e il desiderio di conoscenza di un bambino. La sua mente era un turbine di pensieri, i suoi occhi illuminati dalla speranza e il cuore batteva frenetico per l’attesa. Sapeva di vivere un momento molto speciale, ma sapeva anche di dover mantenere il corpo, la mente e l’anima.

Chojiro lo stava guardando da un altro angolo del laboratorio:” I giovani sono così pieni di vita”, pensò. Tuttavia Sokei era diverso. Aveva una sensibilità particolare e una straordinaria forza emozionale. Chojiro sapeva di avere di fronte a sé il suo successore, un giovane con la pace interiori di chi ha già vissuto la sua vita e l’energia di chi ce l’ha ancora davanti.

Sokei toccava la creta ad occhi chiusi, l’attenzione volta interamente a impastarla, sentendo le dita fondersi con lei, con la terra, la natura e l’arte. In quel momento ogni cosa gli sembrava possibile, perché ognuna delle infinite forme che abitavano la creta stava aspettando di connettersi con le mani del ceramista. Lui le immaginava e le sentiva tutte, una per una. Aveva cominciato a lavorare la creta per farne una ciotola, focalizzando la sua mente soltanto nel qui e ora, perché non si fanno mai bene due cose nello stesso momento. Sapeva che, se davvero voleva ottenere un risultato eccellente, non poteva concedersi alcuna distrazione. Era così concentrato che perse la nozione del tempo e dello spazio. L’universo intero era nelle sue mani. Esistevano solo lui e la sua ciotola. Sapeva che la bellezza sta nella semplicità e che lo straordinario non richiede particolari orpelli, e, mosso da questo pensiero, decorò la sua opera con sobrietà. Il risultato fu una ciotola austera. L’essenziale è bello. Il rustico è ispirazione. L’autenticità è forza. Per Sokei, l’opera a cui stava lavorando era una proiezione della sua anima, della sua vita, della creatività e di una mente ormai libera. Gli ornamenti della ciotola tracciavano un percorso per la storia delle sue mani, la spiritualità della sua esistenza e il suo amore per la natura.

Chojro preparò il forno per il momento chiave del processo il più complesso, ma anche il più bello. Sokei infilò la ciotola nel forno. A poco a poco, quella iniziò a cambiare colore per l’effetto della temperatura e, quando divenne bianca, la afferrò saldamente con delle pinze di ferro e la depositò in un recipiente pieno di trucioli di legno. Il fumo e le fiamme abbracciarono la ciotola di Sokei, fondendosi in una cosa sola, diventando una nuova entità. Anche le decorazioni volevano far parte di quella danza trasformatrice, con il loro delicato caleidoscopio di colori e forme. Sokei contemplava il processo con l’euforia trattenuta di chi è testimone diretto della nascita di qualcosa di unico. Riusciva a stento a trattenere l’emozione. Infine giunse il momento di estrarre la ciotola. Fuoco, terra e aria avevano disegnato forme aleatorie e capricciose, donandole luci e ombre. Dopo tanto tempo, dedizione e pazienza, Sokei aveva finalmente davanti a sé il risultato del suo lavoro e del suo amore. Ed è così bello che non potè evitare di sussultare. Un brivido gli scese lungo la schiena e sentii sul collo il fiato freddo di Buruburu, il fantasma della paura. Un tremore pervase il suo corpo, comprese le mani, tanto che la bellissima ciotola calda cadde a terra e si ruppe in sei pezzi. Sokei mise da parte le pinze di ferro e si inginocchiò accanto ai cocci, in silenzio, con un’espressione di incredulità sul volto. Le mani continuavano a tremare, dagli occhi cominciarono a sgorgare lacrime. Che vita effimera aveva avuto la sua creazione. Finché una mano non gli si posò con delicatezza sulla spalla.

“Non piangere, Sokei” gli disse Chojro.

“Ma è la mia vita. Come posso non piangere?” rispose l’allievo.

“Fai bene a dedicare tutta la tua vita e la tua passione alla tua opera, però la ceramica è bella e fragile, proprio come la vita. La ceramica e la vita possono rompersi in mille pezzi, ma non per questo dobbiamo smettere di vivere intensamente, di lavorare con impegno o di riporre nella nostra esistenza le nostre speranze. Quello che dobbiamo fare non è evitare di vivere, ma imparare a ricomporci dopo le avversità. Raccogli i cocci, Sokei, è arrivato il momento di aggiustare le tue illusioni. Ciò che è rotto può essere ricomposto e, quando lo farai, non cercare di nascondere la sua apparente fragilità giacché si è trasformata ora in una forza manifesta. Caro Sokei, è arrivato il momento che ti spieghi una nuova tecnica, l’arte ancestrale del Kintsukuroi, perché tu possa ricomporre la tua vita, le tue illusioni e il tuo lavoro. Vai a prendere l’oro che custodisco nella cassetta sull’ultimo scaffale.”

Il sogno di Sokei

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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute – percorsi individuali, di coppia e in gruppo: in presenza e online
Formatore e Supervisore: in presenza e online

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