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2 mesi ago · · 0 comments

A tuo figlio non piace studiare. Francesca Di Donato

Troppo spesso i genitori mal tollerano che i propri figli possano non provare piacere a studiare e ripetere, in vista di interrogazioni, compiti in classe ed esami, che sia in generale o che sia per qualche materia specifica.
A volte il problema è in classe e si lega al contesto dell’insegnamento e/o alla relazione con il docente, altre volte il problema è a casa per il peso delle aspettative, altre ancora ci sono difficoltà latenti che contaminano l’esperienza.

Eppure, talvolta, non ci sono problemi e semplicemente a qualcuno NON PIACE STUDIARE.
Davanti a questo i genitori fanno la cosa meno utile che si possa fare -spesso più per dinamiche personali inconsapevoli, che per autentico interesse verso lo studio in sé- che è pressare, dirgli di sforzarsi, investirli ancora di più di aspettative, punirli… alimentando ancora di più la spaccatura.

Suggerisco un’alternativa che, forse, offre più risultati del chiedere ai vostri figli di perseguire le loro strade a modo vostro: apprezzate che, nonostante non amino studiare, comunque ci provano, e chiedete se c’è qualcosa che potete fare per loro; qualcosa che possa rendere lo studio più piacevole.
Se è ciò che potete offrire, bene. Diversamente, nessuno starà qui a pressarvi, a dirvi di sforzarvi, investendovi di aspettative, punendovi, aumentando ancora di più la spaccatura tra voi e ciò che non vi piace o non riuscite a fare per vostro figlio.

Vi è chiaro il senso?
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Francesca Di Donato – Psicologa
Scuola di Psicologia lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi.

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Francesca Di Donato – Psicologa
Scuola di Psicologia lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi.

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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica, della salute

2 mesi ago · · 0 comments

La criticità nello scegliere di fare ciò che si è bravi a fare. Francesca Di Donato

Nei ragionamenti interiorizzati orientati alla prestazione c’è un aspetto che si insinua passando inosservato: questo aspetto riguarda il muoversi quasi automaticamente verso quelle scelte/attività per cui ci si percepisce bravi o si sente di avere un talento.
Saper fare qualcosa, riuscire in certe attività non implica e non garantisce necessariamente l’adesione a se stessi, soddisfazione e appagamento duraturi.
Anzi, talvolta si diventa bravi in qualche aspetto della vita solo dopo aver pagato un prezzo troppo alto, con ricadute negative significative su se stessi.

Va bene chiederti cosa sei capace di fare, ma la domanda più importante è cosa ti fa stare bene, nutrendoti di entusiasmo e vitalità, anche al solo pensiero di farla.
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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica, della salute

2 mesi ago · · 0 comments

Cosa ci insegna la storia di Imane Khelif alle Olimpiadi. Francesca Di Donato

La storia di Imane Khelif ci insegna almeno quattro cose.

La prima lezione è quanto siano pericolose certe informazioni in mano alle persone che non sono capaci di padroneggiarle, nonostante molte di esse sentino il vanto di attestati di laurea appesi alle loro pareti (spoiler: è solo un pezzo di carta rilasciato da un’autorità pubblica che niente sa di te e niente sa delle persone autorizzate a stabilire la tua idoneità, se non quello che, con buona pace del relativismo di cui si nutre, è scritto su quei pezzi di carta stessi).
Si pensa, con superficialità, che la divulgazione di qualunque tipo trascini solo vantaggi e, invece, mettere certe informazioni in mano a persone non pronte, senza basi, è come dargli in mano una bomba nucleare.

La seconda lezione è che se ci si gioca male, come ha fatto la Carini, la o le argomentazioni dei propri blocchi o difficoltà, spostando il focus all’esterno, che sia fatto in buona o cattiva fede, può avere delle ripercussioni enormi, specie con la risonanza mediatica delle Olimpiadi al tempo dei social.

La terza lezione è che nonostante plurimi attacchi, offese, sentenze si può non perdere il focus su se stessi e su ciò che conta davvero, perseguendo comunque i propri traguardi.

La quarta lezione è che vincere l’oro non salva dal rischio di sentirsi addosso le ferite -quelle vecchie che si riaprono o mai rimarginate e le nuove appena inferte-, perché in fondo la vera gara è quella con se stessi.
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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica, della salute

2 mesi ago · · 0 comments

La strana faccia della divulgazione sui social. Francesca Di Donato

 

Oggi circolano numerose informazioni.
Sulla loro correttezza c’è da fare la tara alcune volte, tuttavia sono informazioni che, nella stragrande maggioranza dei casi, non ci era dato conoscere affatto, con la stessa fruibilità, prima dell’avvento dei reel o video sui social, specialmente in merito ai contenuti orientati alla salute.

Quanti medici, farmacisti, allenatori, nutrizionisti, farmacisti, fiosioterapisti, commercialisti, avvocati, infermieri ecc… avete conosciuto che nel pubblico o nel privato, perfino quando pagavate e pagate profumatamente si soffermavano o si soffermano tutt’ora a darvi anche solo uno straccio di informazione dettagliata e comprensibile su condizioni di vostro interesse o sulla salute in generale?
Disponibilità più uniche che rare, ammettiamolo.

Anzi, non solo spesso, specialmente i medici, si scocciano davanti alle domande poste, ma capita pure che se non viene a noi il dubbio su qualcosa, rischiamo di portarci a casa una visione ridotta di una questione che meritava maggiore attenzione.

Questo è a mio avviso la dimostrazione che, per lo più, la divulgazione sui social non è fatta per i cittadini, ma è strumento di mera visibilità di se stessi.

Quelle informazioni le danno perché è il modo per autorizzarsi a mettersi davanti a una videocamera che appaga il proprio ego.

Offrire informazioni alle persone non è il fine, è il mezzo.

Non ci sarebbe nulla di male, se ci fosse maggiore autenticità e se la stessa devozione la mettessero in campo nella relazione in carne e ossa con i pazienti, clienti, utenti di riferimento.
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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute

2 mesi ago · · 0 comments

“Nessuna, parola della lingua italiana, inizia per N e finisce per A.”: il caso. Francesca Di Donato

Continua a circolare un post piuttosto virale in cui, sia chi lo condivide sia chi lo commenta, trascina con sé il vanto di essere tra quelli che la lingua italiana la comprendono sul serio, a dispetto di una ben non identificata porzione di persone che, invece, in contrapposizione, sarebbero gli analfabeti funzionali.
Il metro di valutazione è nelle virgole della proposizione incidentale che cambiano il senso della frase, se inserite o meno.

Il senso della frase, infatti, cambia al solo omettere, leggendola, le virgole.
Quindi, secondo la logica più o meno implicita, condivisa dai partecipanti, se ti sfuggono le virgole sei analfabeta funzionale.
Tuttavia analfabeta funzionale è colui che non sa convertire le abilità di leggere e scrivere per muoversi con consapevolezza e autonomia nel mondo.

Dove sta il punto?
Il punto è che non è tanto il fatto di perdersi le virgole che rende le persone potenziali analfabeti funzionali; il rischio vero c’è qualora, omettendole, anche solo per distrazione, si perdesse di vista che QUELLA FRASE, senza virgole, NON È VERA.
Tutti gli implicati, però, restano bloccati sulle virgole.
Ma ok, ovviamente gli analfabeti funzionali vanno cercati altrove.
Tant’è!

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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute

2 mesi ago · · 0 comments

Curiosità o interesse. Francesca Di Donato

Appare evidente l’utilità di imparare a distinguere tra le domande orientate alla curiosità e le domande orientate all’interesse.
La curiosità risponde al bisogno di chi pone la domanda.
L’interesse (da inter essere ovvero essere dentro) è coinvolgimento, partecipazione al vissuto dell’altro.
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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute

20. Riconoscere il disagio tra i banchi di scuola. Paola Pellegrino

2 mesi ago · · 0 comments

20. Riconoscere il disagio tra i banchi di scuola. Paola Pellegrino

Negli ultimi anni sempre maggiori ricerche raccontano la crescita esponenziale del disagio giovanile e scolastico soprattutto nella fascia che parte dai 9-10 anni fino ad estendersi per tutta l’adolescenza.Molte variabili si fondono in modo del tutto unico nella storia di ognuno ma ciò che traspare è la necessità di dover comprendere meglio ciò che i ragazzi vivono.Sempre più sono le storie di giovani che hanno paura del futuro,che non riescono ad immaginarne uno e vivono nel timore di non riuscire a farcela,

di non essere abbastanza o meritevoli.Le relazioni tra pari ma anche tra adulti e familiari sono sempre meno capaci di trasmettere quella percezione di sostegno e presenza che più di ogni altra cosa servirebbe.

La scuola riveste un ruolo fondamentale non solo per rimanere “guida” ma anche per intercettare il disagio, lavorando quando possibile di prevenzione e sempre da supporto.

È fondamentale un approccio che valorizzi le potenzialità presenti più che incrementare le zone d’ombra e questo richiede la capacità di saper osservare e predisporsi verso una dimensione di ascolto non giudicante ma orientata alla comprensione.

Ecco di seguito alcuni segnali che sarebbe opportuno dal parte di un insegnante vagliare bene perché potenzialmente rappresentativi di un disagio:

-improvviso calo del rendimento scolastico

– ritiro sociale e difficoltà tra pari

– cambiamenti di umore e comportamenti meno ordinari

– assenteismo

– compromissione delle attività precedentemente svolte con tranquillità sulla base di riferita ansia o malessere.

In casi come questi lavorare su livelli diversi e quindi su gruppo classe,gruppo docente,famiglia e singolo può favorire un iniziale inquadramento del problema se non altro per comprendere quali passi mettere in atto per gestire al meglio la situazione.

Ricordiamo a questo proposito inoltre la possibilità di interfacciarsi con psicologo della scuola come risorsa a servizio del benessere scolastico.


Noemi Virgilio
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19. La base dell’apprendimento: la relazione! Noemi Virgilio

2 mesi ago · · 0 comments

19. La base dell’apprendimento: la relazione! Noemi Virgilio

L’importanza della relazione docenti-studenti è ormai avvalorata dalle evidenze neuroscientifiche che dimostrano come l’apprendimento sia fortemente legato alla motivazione e alle emozioni. Oltre le ricerche ognuno di noi ha esperienza di come sia stato più facile da studenti affrontare le materie in cui il docente aveva un modo di parlare divertente, particolarmente chiaro o entusiasmante. Il nostro docente preferito era anche quello con cui andavamo meglio, o per lo meno insegnava la materia che studiavamo più volentieri. La motivazione infatti e l’apprendimento secondariamente sono fortemente legati alle emozioni che proviamo quando apprendiamo. In questo senso è facile capire come le emozioni come gioia, stupore, curiosità attivino più facilmente una motivazione intrinseca all’apprendimento. L’attivazione delle emozioni è certamente possibile anche in presenza di situazioni spiacevoli, la paura di una nota o un voto negativo possono generare emozioni che in questo caso non portano però ad una motivazione intrinseca ma portano ad una decisone estrinseca volta ad evitare la minaccia punitiva. In questo senso risulta molto più efficace al fine dell’apprendimento che la motivazione si inneschi a partire da emozioni che possano generare una vera motivazione interna. Le emozioni sono dunque il timone che guida le nostre decisioni e secondariamente che porta a tutte le nostre caratteristiche evidenti in tema di apprendimento: le scelte sulle materie che ci piacciono, le nostre attitudini, le capacità creative etc.

In questa cornice di rifermento é facile capire come non esista nessun vero processo di apprendimento se prima non ci si focalizza sulla relazione in cui quelle emozioni possono avere il terreno per crescere e per essere coltivate. Essere guida di una relazione sana prima che elargitori di conoscenze è imprescindibile perché si possa diventare quei docenti che entusiasmano, affascinano e ispirano, quei docenti di cui tutti ci ricordiamo per sempre.


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18. L’importanza di un vero patto educativo condiviso. Paola pellegrino

2 mesi ago · · 0 comments

18. L’importanza di un vero patto educativo condiviso. Paola pellegrino

Quando si parla della centralità dell’istituzione scolastica e familiare nella definizione di gran parte della qualità della vita di bambini e ragazzi, si sottolinea forse ancora poco l’effetto che i rapporti presenti tra queste due Istituzioni possono avere.

Si parla di condivisione educativa, di patto di corresponsabilità, di dialogo ma spesso queste dimensioni sembrano presenti solo a livello formale e burocratico.

Il patto educativo di corresponsabilità per esempio è un documento che gli studenti e i genitori contestualmente all’iscrizione a scuola sottoscrivono con l ‘obiettivo di definire in maniera condivisa diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie nel rispetto dei diversi ruoli e del reciproco impegno.

Ma quanto questa corresponsabilità è veramente poi agita? O meglio quanto di quello che viene preposto e proposto facilita l’incontro reale tra i due sistemi e la conoscenza dei bambini/ragazzi?

Questo aspetto diviene centrale e risulta lacunoso soprattutto quando ci si ritrova ad affrontare situazioni “extra ordinarie”, che necessitano di flessibilità e accorgimenti specifici. La reale sinergia tra i due sistemi porterebbe benefici ormai ampiamente dimostrati da numerose ricerche tra cui :.

Migliori risultati di apprendimento

Lotta assenteismo

Relazioni funzionali e soddisfacenti tra tutti gli attori coinvolti

Costruzione di un ambiente volto alla cooperazione.

Un modo per rendere tutto questo realmente concreto potrebbe essere partire da un reale incontro tra scuola e famiglie, una prospettiva di ascolto e negoziazione reciproca necessaria oer una reale conoscenza. La reale partecipazione e scambio nelle fasi proprio di definizione dei valori reciproci e dei bisogni dei ragazzi è quello che realmente forse manca per avvicinarsi ad una condivisione educativa sostanziale.

 

 


Noemi Virgilio
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