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4 anni ago · · 0 comments

Il corvo e la volpe – Esopo

C’era una volta un corvo che, fermo su un ramo, si guardava intorno in cerca di qualcosa da mangiare.
L’occasione arrivò presto.

Non molto lontano, una famigliola stava facendo un bel picnic e, in un angolo, sopra al telo steso a terra, aveva messo un bel cesto pieno di pezzi di formaggio.
Il corvo si lanciò in picchiata, con una rapida mossa prese un pezzo di formaggio e volò tutto contento via lontano, fin sopra il ramo di un alto albero.

Sotto al ramo dove si era posato il corvo stava passando una volpe, che notò subito il pezzo di formaggio nel suo becco.
Si sedette lì sotto e pensò: “Quanto mi piacerebbe mettere le zampe su quel pezzo di formaggio…”. Ma il corvo era su un ramo troppo alto e lei non ci sarebbe mai arrivata con un salto.
Forse, però, poteva farcela usando la sua astuzia: si sa, le volpi sono molto furbe.
– “Buongiorno signor corvo, ma che belle penne che hai!” disse la volpe.
Il corvo, sentendo queste parole, guardò giù e la vide. Conoscendo il tipo, il corvo si fece subito sospettoso. “Come mai la volpe mi fa questi complimenti?” si chiese; ma la volpe continuò: “Hai anche un gran bel portamento!”

Al corvo iniziò a piacere tutta questa adulazione. “Be’, effettivamente ho delle bellissime penne nere” e iniziò a sbattere le ali per metterle bene in mostra.
– “E che bel becco che hai, sembra proprio il becco di un re!”
Al corvo non pareva vero di ricevere tanta attenzione. Sentir lodare il suo becco, poi, era una cosa bellissima. “Se solo potessi sentire una dolce melodia provenire da quel becco!!! Vorrei proprio sentire quali meravigliose canzoni puoi cantare!!! continuò la volpe con un tono sempre più adulante.
Il corvo era al settimo cielo. Dopo così tanti complimenti doveva dimostrare alla volpe quanto bravo era nel canto, così aprì il becco e “Cra! Cra! Cra!”
Mentre il corvo cercava di dare sfoggio delle sue abilità di cantante, il pezzo di formaggio scivolò via dal becco. La volpe, che aspettava lì sotto, aprì la bocca e il formaggio ci finì dritto dritto dentro.

La volpe, tutta contenta per essere riuscita a guadagnarsi il pranzo usando solo la sua astuzia, salutò con la zampa il corvo, ringraziò e se ne andò via per il sentiero del bosco.
Il corvo, poverino, era rimasto con le ali e il becco aperti per la sorpresa. “Dovevo stare più attento” pensò mentre guardava la volpe allontanarsi.
“La prossima volta che qualcuno mi farà così tanti complimenti non mi lascerò ingannare così facilmente. Cercherò di capire se sono complimenti sinceri o se sono solo un modo per ottenere qualcosa da me”. E volò via, in cerca di qualcos’altro da mangiare.

Il corvo e la volpe di Esopo

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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute – percorsi individuali, di coppia e in gruppo: in presenza e online
Formatore e Supervisore: in presenza e online

4 anni ago · · 0 comments

La cicala e la formica – Esopo

C’era una volta un’estate calda calda e una cicala a cui non piaceva né sudare né far fatica. L’unica cosa che le piaceva fare era cantare tutto il giorno.

Sotto il ramo dell’albero dove stava sdraiata comoda la cicala, passava avanti e indietro una formica tutta indaffarata a portare sulla sua schiena un sacco di cose: pezzetti di cibo, sassolini, legnetti… .

La cicala, vedendo quanto era sudata la formica, iniziò a prenderla in giro:
– “Vieni quassù con me, signora formica. Fa più fresco e, mentre ti riposi, cantiamo insieme qualche canzone” e, così dicendo, iniziò a cantare.
– “Grazie mille per l’invito, signora cicala, ma io sono molto indaffarata a mettere via provviste per l’inverno e a sistemare la mia casetta per proteggermi dal freddo, quando arriverà” e continuò ad andare avanti e indietro per il prato, indaffarata.
– “Ma l’estate è ancora lunga e l’inverno ancora lontano. Non preoccuparti adesso, ci sarà tempo più avanti per mettere via le provviste!”
La formica scosse un po’ la testa e continuò imperterrita il suo lavoro, senza più badare alla cicala.
– “Fai come vuoi, formica mia. Io intanto mi godo questa meravigliosa giornata standomene qui rilassata a riposare” e la cicala riprese a cantare un’altra canzone.

Ma i giorni e poi i mesi passarono veloci ed ecco che, puntuale, arrivò l’inverno, col suo freddo e col suo ghiaccio.
La cicala vagava per i campi e i prati arrabattandosi come poteva, recuperando qua e là qualcosa da mangiare e riparandosi dal freddo dove capitava.

Vagando vagando, una sera in cui il buio era sceso molto presto, incontrò una piccola casetta con la finestrella illuminata.
La cicala aveva tanta fame e tanto freddo, così bussò alla porta.
La porta si aprì ed uscì la formica. Quella era la sua casetta costruita con fatica durante tutta l’estate: dall’interno si sentiva arrivare un bel calduccio e un odorino di cibo molto invitante.

– “Buonasera signora cicala, cosa ti porta qui da me?”
– “Buonasera signora formica -rispose tutta infreddolita la cicala, tremando nel leggero cappottino che aveva addosso- ho freddo, ho fame e non ho un tetto dove passare la notte.”

La formica guardò la cicala con compassione.
– “Ah signora cicala, come ricordo bene le calde giornate d’estate in cui, mentre io faticavo per metter via provviste e costruirmi una casa, tu, beata sul tuo ramo al fresco e all’ombra, cantavi cantavi e cantavi… Beh, facciamo così: entra, per questa volta ti aiuterò e ti darò da mangiare e un letto per dormire. Tu però prometti che la prossima estate mi aiuterai a far provviste.”

La cicala, imparata la lezione, promise che avrebbe fatto la brava e ringraziò di cuore la formica per l’aiuto.

La cicala e la formica di Esopo

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4 anni ago · · 0 comments

La lepre e la tartaruga – Esopo

C’era una volta una lepre che si vantava di correre più veloce di tutti quanti, e ogni volta che poteva prendeva in giro la povera tartaruga, che invece camminava sempre piano piano.
– Guarda come sei lenta! – le gridava – nel tempo in cui tu fai un passo, io sono già dall’altra parte del bosco!
La tartaruga non faceva troppo caso alle parole della lepre, e continuava tranquilla per la sua strada.

Un giorno la lepre era più antipatica del solito, e anche la buona e brava tartaruga alla fine si decise a risponderle.
– Non vantarti troppo, anche la lepre più veloce del mondo può essere battuta, sai?
– Ah sì? E da chi mai potrei essere battuta? Vuoi provare a battermi tu?
– Perché no?! – rispose la tartaruga.
– Allora ti sfido! – disse la lepre mettendosi a ridere di gusto.

Il giorno dopo, al mattino presto, i due si incontrano, si misero d’accordo sul percorso da fare e, dopo uno sguardo di sfida, partirono come due missili verso il traguardo.
Solo che la lepre, dopo un paio di balzi, si rese conto di essere talmente avanti rispetto alla tartaruga che decise di fermarsi: la tartaruga aveva fatto solo pochi centimetri.
La lepre quindi, vedendo quanto era lenta la sua avversaria, decise di fare un sonnellino, tanto in un paio di balzi l’avrebbe sicuramente ripresa.

Dopo un po’ si risvegliò di soprassalto: aveva sognato che la tartaruga era già al traguardo! Cercò subito con lo sguardo la sua avversaria ma la vide pochi metri più in là, nemmeno a un terzo del percorso. La lepre si rilassò subito e, certa ormai che la tartaruga non avrebbe mai potuto vincere vista la sua lentezza, pensò di andare a fare uno spuntino.
Ogni tanto seguiva con lo sguardo la tartaruga, ma era già mezzogiorno e la tartaruga era a poco più di metà del percorso.

La lepre e la tartaruga di Esopo

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Falco a metà

Un re ricevette in regalo due piccoli falchi e li consegnò al maestro falconiere per la loro formazione.

Dopo pochi mesi, l’istruttore disse al re che uno dei falchi era stato educato perfettamente, ma non sapeva cosa stesse accadendo all’altro. Da quando era arrivato al palazzo non si era mosso dal ramo su cui stava al punto che gli doveva portare il cibo.

Il re convocò guaritori e maghi ma nessuno riuscì a fare volare il piccolo falco. Quindi emise un editto tra i suoi sudditi e, la mattina seguente, vide sorpreso il piccolo falco che volava nei suoi giardini.

– Portatemi il responsabile di questo miracolo – disse.

Davanti al re comparve un contadino, e il re gli chiese:

– Come sei riuscito a far volare il falco? Cosa sei, un mago?

– Non è stato difficile mio signore- ha spiegato l’uomo – Ho semplicemente tagliato il ramo su cui stava. Solo allora l’uccello si reso conto che aveva le ali e ha spiccato il volo.

Falco a metà

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Siddharta e il cigno

Molto tempo fa, in India, vivevano un Re e una Regina. Un bel giorno, la Regina ebbe un bambino che decisero di chiamare Principe Siddharta. Il Re e la Regina erano molto felici e invitarono un vecchio saggio perché visitasse il loro regno e predicesse il futuro del bambino.
“Per favore, dicci”, disse la Regina al vecchio saggio, “chi sarà da grande il nostro bambino?”.
“Vostro figlio sarà un bambino speciale”, le disse il saggio. “Un giorno diventerà un grande re”.
“Che bello!”, disse il Re. “Sarà un re, proprio, come me”.
“Tuttavia”, aggiunse il saggio, “quando sarà grande, è possibile che voglia lasciare il palazzo per aiutare le persone”.
“Non farà mai una cosa del genere!”, urlò il Re, mentre stringeva forte il figlio. “Lui sarà un grande re!”.
Il Re trascorse i suoi giorni a osservare il Principino. Si assicurò che il figlio ricevesse sempre il meglio. Voleva che Siddharta scoprisse quanto fosse bella la vita di un principe. Voleva che diventasse un re. Il giorno del settimo compleanno del Principe, il Re lo mandò a chiamare e gli disse: “Siddharta, un giorno sarai tu il re e quindi è arrivato il momento di iniziare a prepararsi. Ci sono molte cose che devi imparare, quindi ecco tutti i migliori professori che esistono al mondo. Loro ti insegneranno tutto ciò che devi sapere”.
“Darò il meglio di me, padre”, rispose il Principe.
Così, Siddharta iniziò le sue lezioni. Non imparò a leggere e a scrivere, ma apprese come montare a cavallo. Imparò a maneggiare l’arco e le frecce, come lottare e come usare la spada. Queste sono le abilità di cui ha bisogno un grande re. Siddharta imparò bene tutte le proprie lezioni, proprio come fece anche suo cugino, Devadatta, che aveva la stessa età del Principe. Il Re non perdeva mai di vista il proprio figlio.
“Quanto è forte il Principe! Quanto è intelligente, impara tutto molto in fretta. Sarà un re grande e famoso!”
Quando il Principe Siddharta terminava le sue lezioni, si divertiva a giocare nei giardini del palazzo, dove vivevano tantissimi tipi di animali: scoiattoli, conigli, uccelli e cervi. A Siddharta piaceva osservarli. Poteva sedersi e guardarli in modo così silenzioso, che agli animali non dava fastidio stare accanto a lui. A Siddharta piaceva molto anche giocare vicino al lago e ogni anno una coppia di bellissimi cigni bianchi faceva il nido lì vicino. Lui li osservava da dietro i giunchi. Voleva sapere quante uova ci fossero nel nido, perché gli piaceva vedere come imparavano a nuotare i pulcini.
Un pomeriggio, Siddharta si trovava in prossimità del lago quando, all’improvviso, sentì un suono provenire da sopra la sua testa. Guardò in su e vide tre splendidi cigni che volavano alti nel cielo. “Altri cigni”, pensò Siddharta. “Spero proprio che si posino nel nostro lago”. Eppure, proprio in quel momento, uno dei cigni cadde dal cielo. “Oh no!”, urlò il Principe, mentre correva verso il luogo in cui era precipitato il cigno.
“Che cosa è successo? Oh, hai una freccia nell’ala!”, disse. “Qualcuno ti ha ferito”. Siddharta parlò all’animale con voce molto leggera per non spaventarlo e poi iniziò ad accarezzarlo dolcemente. Molo delicatamente, tolse la freccia e poi si tolse la camicia per fasciare con attenzione la ferita del cigno. “Guarirai subito”, lo rassicurò. “Io tornerò tra poco a vedere come stai”.
Proprio in quel momento, arrivò di corsa suo cugino Devadatta. “Quello è il mio cigno!”, urlò. “L’ho colpito io, dammelo”. “Non ti appartiene”, gli rispose Siddharta. “È un cigno selvatico”. “Io l’ho colpito con la mia freccia, quindi è mio. Dammelo subito!”. “NO!”, rispose Siddharta. “È ferito e bisogna aiutarlo”.

I due cugini cominciarono a litigare. “Adesso basta”, disse Siddharta. “Nel nostro regno se due persone non riescono a raggiungere un accordo, chiedono aiuto al Re. Andiamo subito da lui”. I due bambini andarono di corsa a cercare il Re. Quando arrivarono a palazzo, erano tutti molto occupati. “Che cosa fate qui, voi due?”, domandò uno dei ministri del Re. “Non vedete quanto siamo occupati? Andate a giocare da un’altra parte”. “Non siamo venuti a giocare”, gli rispose Siddharta. “Siamo qui per chiedere l’aiuto del Re”.

“Aspettate!”, disse il Re quando sentì che cosa aveva detto il figlio. “Fateli restare, hanno il diritto di consultarci”. Era molto orgoglioso del fatto che Siddharta sapesse come comportarsi. “Lasciate che i ragazzi ci raccontino la loro storia. Noi li ascolteremo e poi daremo il nostro giudizio”.

Il primo a raccontare la sua versione dei fatti fu Devadatta. “Io ho ferito il cigno, quindi mi appartiene”. Tutti i ministri annuirono con la testa. In fondo, così diceva la legge del regno. Un animale o un uccello appartenevano alla persona che lo aveva ferito. A quel punto, Siddharta narrò la sua storia. “Il cigno non è morto”, disse. “È ferito, ma è ancora vivo”.

I ministri restarono perplessi. A chi apparteneva, quindi, il cigno? “Forse posso aiutarvi io”, disse una voce alle loro spalle. Un uomo anziano entrò dalla porta del palazzo. “Se questo cigno potesse parlare”, disse l’anziano signore, “ci direbbe che vuole volare e nuotare con gli altri cigni selvatici. Nessuno di noi vuole provare il dolore o la morte. E lo stesso vuole il cigno. Il cigno non andrà certo con la persona che voleva ucciderlo. Andrà da chi ha voluto aiutarlo”.
Durante tutto il suo discorso, Devadatta restò in silenzio. Non aveva mai riflettuto sul fatto che anche gli animali potessero avere dei sentimenti. Fu allora che gli dispiacque immensamente di aver ferito il cigno. “Devadatta, puoi aiutarmi a prendermi cura del cigno se vuoi”, gli disse Siddharta.
Il Principe si prese cura del cigno fino a quando la sua ala non guarì del tutto. Una volta guarito, lo portò al fiume. “È arrivato il momento di separarci”, disse il Principe. Siddharta e Devadatta osservarono il cigno nuotare verso le acque più profonde. In quel momento, sentirono un fruscio di ali sopra di loro. “Guarda!”, esclamò Devadatta. “Gli altri cigni sono tornati per lui”. Allora il cigno volò alto nel cielo e si riunì ai suoi amici, che sorvolarono il lago tutti insieme per un’ultima volta. “Ci stanno ringraziando”, disse Siddharta, mentre i cigni scomparivano oltre le montagne del nord.

Siddharta e il cigno

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I due boscaioli

Due boscaioli lavoravano nella stessa foresta ad abbattere alberi. I tronchi erano imponenti, solidi e tenaci. I due boscaioli usavano le loro asce con identica bravura, ma con una diversa tecnica: il primo colpiva il suo albero con incredibile costanza, un colpo dietro l’altro, senza fermarsi se non per riprendere fiato rari secondi.
I due boscaioliIl secondo boscaiolo faceva una discreta sosta ogni ora di lavoro.
Al tramonto, il primo boscaiolo era a metà del suo albero. Aveva sudato sangue e lacrime e non avrebbe resistito cinque minuti di più.
Il secondo era incredibilmente al termine del suo tronco. Avevano cominciato insieme e i due alberi erano uguali!
Il primo boscaiolo non credeva ai suoi occhi. “Non ci capisco niente! Come hai fatto ad andare così veloce se ti fermavi tutte le ore?”.
L’altro sorrise: “Hai visto che mi fermavo ogni ora. Ma quello che non hai visto è che approfittavo della sosta per affilare la mia ascia”.

I due boscaioli

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Parerga e paralipomena – parabola di Schopenhauer

Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.

Così il bisogno di società, che scaturisce dal vuoto e dalla monotonia della propria interiorità, spinge gli uomini l’uno verso l’altro; le loro molteplici repellenti qualità e i loro difetti insopportabili, però, li respingono di nuovo l’uno lontano dall’altro. La distanza media, che essi riescono finalmente a trovare e grazie alla quale è possibile una coesistenza, si trova nella cortesia e nelle buone maniere.

A colui che non mantiene quella distanza, si dice in Inghilterra: keep your distance! − il mutuo bisogno di calore viene, così, soddisfatto solo in parte, ma le persone almeno non si feriscono − Colui, però, che possiede molto calore interno preferisce rinunciare alla società, per non dare né ricevere sensazioni sgradevoli.

Parerga e paralipomena di Schopenhauer

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4 anni ago · · 0 comments

La finestra sul mondo

Due uomini, entrambi molto malati, occupavano la stessa stanza d’ospedale.
A uno dei due uomini era permesso mettersi seduto per un’ora ogni pomeriggio in modo da permettere il drenaggio dei fluidi dal suo corpo e il suo letto era vicino all’unica finestra della stanza.
L’altro uomo invece doveva restare sempre sdraiato.
Col passare dei giorni i due uomini fecero conoscenza e cominciarono a parlare per ore. Parlarono delle loro mogli, delle loro famiglie, delle loro case, del loro lavoro, del loro servizio militare e dei viaggi che avevano fatto.
Ogni pomeriggio l’uomo che stava nel letto vicino alla finestra poteva sedersi e passava il tempo raccontando al suo compagno di stanza tutte le cose che poteva vedere e l’altro, paziente, cominciò a vivere per quelle ore in cui la sua sofferenza veniva lenita dai colori del mondo esterno.
La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto dove le anatre e i cigni giocavano nell’acqua, mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo. Giovani innamorati camminavano abbracciati tra fiori di ogni colore e c’era una bella vista della città in lontananza. Mentre l’uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l’uomo dall’altra
parte della stanza chiudeva gli occhi e immaginava la scena.
In un caldo pomeriggio l’uomo della finestra descrisse una parata che stava passando. Sebbene l’altro uomo non potesse vedere la banda, poteva sentirla e vederla con gli occhi della sua mente, così come l’uomo dalla finestra gliela descriveva.
Passavano i giorni e le settimane.
Un mattino l’infermiera del turno di giorno portò loro l’acqua per il bagno e trovò il corpo senza vita dell’uomo vicino alla finestra, morto pacificamente nel sonno.
L’infermiera diventò molto triste e chiamò gli inservienti per portare via il corpo.
Non appena gli sembrò appropriato, l’altro uomo chiese se poteva spostarsi nel letto vicino alla finestra. L’infermiera fu felice di fare il cambio, e dopo essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo.
Lentamente, dolorosamente, l’uomo si sollevò su un gomito per vedere per la prima volta il mondo esterno, voltandosi lentamente per guardare fuori.
Essa si affacciava su un muro bianco.
L’uomo, allora, chiese all’infermiera che cosa poteva avere spinto il suo amico morto a descrivere delle cose così meravigliose al di fuori da quella finestra. L’infermiera rispose che l’uomo era cieco e non poteva nemmeno vedere il muro.

La finestra sul mondo

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Dalle crepe nascono fiori

Un’anziana donna cinese aveva due grandi vasi, ciascuno sospeso all’estremità di un palo che lei portava sulle spalle.
Uno dei vasi aveva una crepa.
Mentre l’altro era perfetto, ed era sempre pieno d’acqua. Alla fine della lunga camminata dal ruscello a casa, quello crepato arrivava sempre mezzo vuoto. Per due anni interi andava avanti così, con la donna che portava a casa solo un vaso e mezzo d’acqua.
Naturalmente, il vaso perfetto era orgoglioso dei propri risultati, ma il povero vaso crepato si vergognava del proprio difetto, ed era avvilito di saper fare solo la metà di ciò per cui era stato fatto.
Un giorno il vaso crepato parlò alla donna lungo il cammino: “Mi vergogno di me stesso, perché questa crepa nel mio fianco fa sì che l’acqua fuoriesca lungo tutta la strada verso la vostra casa.
La vecchia sorrise: “Ti sei accorto che ci sono dei fiori dalla tua parte del sentiero, ma non dalla parte dell’altro vaso?
Ho sempre saputo del tuo difetto, così ho piantato dei semi dal tuo lato ed ogni giorno, mentre tornavamo, tu li innaffiavi.
Per due anni ho potuto raccogliere quei bei fiori per decorare la tavola.
Se tu non fossi stato come sei, non avrei avuto quelle bellezze per ingentilire la casa.
Ognuno di noi ha il suo difetto particolare ma sono solo le crepe e i difetti che fan si che le nostre vite siano così interessanti e gratificanti.

Dalle crepe nascono fiori

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La disciplina della verità

Un distinto insegnante di Zen, interrogato su come egli avesse praticato la disciplina della verità, semplicemente disse: “Quando ho fame, mangio; quando sono stanco, dormo”.
L’interrogante replicò che questo era ciò che ognuno faceva e chiese se questo potesse essere considerato il praticare la disciplina, come faceva lui.
L’insegnante rispose: “No; perché quando gli altri mangiano, loro non mangiano, ma stanno pensando alle varie altre cose che poi li disturberanno; quando dormono, essi non dormono, ma sognano le mille cose. Ecco perché loro non sono come me”.

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