Oggi sono incappata in una conversazione tra insegnanti in cui alcuni di loro, non pochi, e comunque anche pochi, per me, sarebbero troppi, che discutevano su chi ha diritto di chiamarsi docente, coinvolgendo anche maestri e insegnanti di materie quali educazione fisica; e mentre qualcuno ha proposto di abolire la parola “maestro” e qualcun altro, indignato, ha sollevato il timore che possano arrivare ad avere gli stipendi equiparati. Stiamo parlando del luogo in cui i vostri figli trascorrono la maggior parte del loro tempo e della loro crescita, dopo la famiglia. Il posto dove dovrebbero trovare cultura, riflessione, crescita personale, confronto…. e alcuni di loro pensano a fare a gara a suon di titoli, mansioni, formazione conseguita e quantità di compiti da correggere.
A quanto pare anche tra gli insegnanti c’è chi non sa che il valore del lavoro non dipende dai compiti che correggi e dalle lezioni che impartisci, ma da quanto sai educare (da educere: tirar fuori) ogni allievo a tirar fuori il suo potenziale, il meglio di sé.
E chiedere di abolire la parola “Maestro” con “docente” significa intaccare un’immagine secolare di virtù, nobiltà d’animo, abilità e competenza intrinseci in questa parola, anche quando chi la portava non ne era all’altezza: “MAESTRO” pronunciala, senti come suona… ha un non so che di affettivo, di poetico, di intramontabile, come ce l’aveva “bidello”, prima di decidere che “collaboratore scolastico” fosse più onorabile. Assistiamo a una qualificazione forzata di parole fredde e sterili solo perché, nel tempo, i pregiudizi e il classismo di molti hanno portato a creare visioni subordinate e asimmetriche, che tuttavia sono rimaste. Cambiano le parole ma il senso si superiorità di molti, troppi, resta.
Ricordo ancora l”indignazione di alcuni psicologi e docenti quando, lo scorso anno, con alcuni colleghi, proposi al CNOP di intervenire con l’assunzione dello Psicologo nelle scuole, come personale ATA, dunque come professionista AUTONOMO e non subordinato al Dirigente scolastico. Qualcuno preferisce la subordinazione al dirigente scolastico, piuttosto che l’autonomia, pur di non essere equiparati a chi lavora nelle segreterie o come collaboratore. Classismo, punto. Ancora nel 2021 e da chi ha il compito di educare i vostri figli.
Certo, alla luce di questo, oltre che nel titolo si dovrebbe essere davvero Maestri, esserlo nell’animo. Nobili e abili.
Quindi lo toglierei solo a coloro che pensano che insegnare sia solo una questione di compiti da correggere e lezioni da impartire: costoro non lo meritano.
È vero, gli insegnanti di ogni ordine e grado sono tutti docenti, ma di costoro sono pochi i Maestri.
C’è poco da fare: ci sarà sempre chi si sentirà migliore per la materia, per l’ambito, per la formazione conseguita, per il modello di riferimento, per la qualifica, per la professione che svolge… quindi sta solo a ognuno di voi credere fermamente che qualunque ambito, formazione, qualifica, modello di riferimento scegliete HA VALORE PER QUELLO CHE CI AVETE MESSO DI VOSTRO, IN TERMINI DI IMPEGNO E ATTITUDINE PERSONALE, e non per un riconoscimento esterno o per la presunta quantità/mole del vostro lavoro.
Fate appello alla consapevolezza e, poi, regalatevi il coraggio di definire da voi il valore del vostro lavoro.
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Francesca Di Donato – Psicologa
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