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11 mesi ago · · 0 comments

Scienza e filosofia. Francesca Di Donato

La scienza si nutre del dubbio, della messa in discussione critica e riflessiva.
La scienza avanza ipotesi e poi verifica e il risultato della verifica apre le porte a nuovi dubbi, che spingono verso nuove verifiche e nuove risposte da sondare.
La scienza vera non si nutre di verità o di certezze, tantomeno della certezza dei dati e delle misurazioni, ma parte da essi per evolversi.
La scienza sbaglia ed è proprio l’errore che l’aiuta a definirsi.
La scienza è prudente e valida punti di vista alternativi, non li squalifica… semmai cerca di conoscerli, comprenderli e, se occorre, ridefinirli alla luce delle informazioni e delle osservazioni disponibili.
La scienza è un processo non un fine; è un sistema di conoscenze, non di verità.
Ne consegue che la scienza non può fare a meno della filosofia, perché rischierebbe di non comprendere e né di aderire a se stessa in tutto il processo che la determina.
E poi c’è chi fa scienza, perché essa senza spettatori e attori non esiste e costoro possono onorare la scienza o depravarla.
Quindi chi dice “credo nella scienza”, chi la tratta come Somma verità del proprio operato, chi la corrompe, chi la contrappone bellicamente alla filosofia, sta agendo un’adesione religiosa, alla stregua della fede e questo ha ben poco di scientifico.

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Francesca Di Donato – Psicologa
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2 anni ago · · 0 comments

Sradicamento

Ho appena letto un post in cui una collega spinge affinché la nostra disciplina si allontani sempre più dalla filosofia, per andare verso la scienza.

E io colgo anche questa occasione per ricordare il principio della congruenza a cui dovremmo assolvere:
ogni volta che abbiamo a che fare con un paziente si presume che si collabori affinché si creino le condizioni che gli permettano di tornare o di concedersi di assolvere pienamente a se stesso, consentendosi una crescita aderente al suo autentico modo di stare al mondo.

Bene. Dovremmo farlo innanzitutto con noi stessi e con la disciplina che rappresentiamo.
Un conto è arricchirla di nuove prospettive, un’altra è snaturarla per diventare altro.
Necessita un recupero delle nostre radici.

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3 anni ago · · 0 comments

Origini e discendenze della disciplina psicologica

Le radici della psicologia non attingono la loro linfa da Freud e dalla psicoanalisi, ma dagli sciamani.

Come mi ha ricordato un collega tempo fa in una conversazione su facebook, il primo psicologo libero professionista della storia occidentale è stato Antifonte, un sofista del 500 a.C., il quale aprì una bottega ad Atene in cui risolveva “problemi dell’Anima” dietro pagamento.

Già, Antifonte… il primo a capire che per gestire e superare la malattia bisognava parlare, narrandola, della propria sofferenza.

E oggi una buona parte della categoria rinnega tutto per riempirsi di protocolli e pratiche vendute alla mercé del modello medico, quando le nostre radici sono altre: ricordarle non compromette assolutamente l’ordinamento della nostra professione, anzi… magari ci guadagniamo in termini di identità, di cui siamo molto carenti come categoria.
Ne siamo carenti perché in troppi non conoscono la storia della propria disciplina e della propria professione entro cui questa disciplina prende forma.

Quello che lo Psicologo deve ricordarsi è di non essere medico e che va bene così, perché non è ne più né meno: è solo altro.
Quello che lo psicologo deve ricordarsi è che a puntare tutto sulle neuroscienze si rischia di riproporre il falso dualismo cartesiano con la res cogitans cioè la realtà psichica nutrita di inestensione, libertà e consapevolezza e la res extensa come vetrina della realtà fisica, che è estesa, limitata e inconsapevole.
Mente e corpo come entità separate non esistono e la psicologia ha il meraviglioso potere di nutrirsi di tutta l’esperienza umana.
Invece c’è una spinta a volerla identificare con le neuroscienze, di puntare tutto sulla psicologia scientifica riproducibile tramite tecniche di neuroimaging o esperimenti di laboratorio. Far coincidere queste due cose: è questo che non va.

Quindi la domanda è “chi ha scelto Psicologia, sa davvero di cosa ha scelto di occuparsi?”
La nostra è una disciplina che per sua stessa natura ha carattere umanistico, fenomenologico ed esistenziale ed è pregna di antropologia, di letteratura, di poesia, di arte… ha radici arcaiche nel mondo alchemico, e ha il potere di arricchirsi di TUTTA l’esperienza umana, anche quella neuroscientifica: tuttavia arricchirsi di qualcosa non vuol dire diventare quella cosa.
La psiche non ha né un aspetto filosofico, né scientifico: semmai scienza e filosofia sono due modi di avvicinarsi a essa.
E aggiungo ora: nessuna delle due dovrebbe escludere l’altra.

E mentre si lavora affinché le persone diventino loro stesse, assolvendo alla loro vera natura, in modo assolutamente contraddittorio e incongruente, molti vogliono alterare l’identità della professione che rappresentano, invece di farla essere ciò che è.

Leggi anche: https://scuoladipsicologia.com/2021/04/14/psicologo-come-professione-sanitaria-unidentita-snaturata/
LEggi anche: https://scuoladipsicologia.com/2020/08/14/psicologia-e-scientificita/

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Francesca Di Donato – Psicologa
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RIflessioni su Psicologia e scientificità s.s.

4 anni ago · · 0 comments

RIflessioni su Psicologia e scientificità s.s.

La questione metodo-epistemologica della scientificità della Psicologia è argomento aperto e tutt’altro che risolto e fortemente legato al riconoscimento di un costrutto, di un assunto, di una teoria… da parte della comunità professionale in questione.

Troppo a lungo la questione “efficacia” in psicologia è stata studiata con il medesimo modello medico, che non è il nostro, e prima o poi dobbiamo capirlo e farcene una ragione.

Siamo ancorati troppo spesso all’idea che siccome esistono dei protocolli d’intervento psicologico allora siamo legittimati a dire che il nostro lavoro deve essere fondato sulle evidenze e solo su quelle.
Tuttavia nella vita reale una metodologia simile, chiaramente di emulazione medica, non risponde alle necessità della nostra professione, salvo forzare inverosimilmente le cose.

A chi sostiene non ci siano dubbi sul fatto che i nostri comportamenti -sia consci, sia inconsci- e che le nostre interazioni con l’ambiente -animato e/o inanimato che sia- dipendano dal funzionamento del cervello, per coerenza con il trasporto che mostrano per tutto ciò che è basato sull’evidenza, chiedo anche solo una prova empirica di una direzione causale che va dal funzionamento del cervello al comportamento/esperienza. Perché, a oggi, al massimo, mi sembra che si possa fare affidamento su correlazioni aspecifiche e non rapporti causali diretti.

Sorge in me il dubbio che alcuni Psicologi avrebbero, piuttosto, voluto fare i Medici-psichiatri e si siano poi ritrovati a praticare la professione sbagliata o stiano cercando un disperato compromesso tra istanze interiori contrapposte, plasmando la realtà al di fuori di loro stessi, invece di rivolgere lo sguardo dentro loro stessi.

In quanto Psicologi, forti di un’identità umanistico-fenomenologico-esistenziale dovremmo offrire un panorama alternativo a quello medico e ancor più nello specifico a quello psichiatrico e, in tal, modo fare la differenza.

Quando non si sta parlando di ricerca o di statistica in psicologia, ma di terapia psicologica, l’epistemologia che seguiamo non è quella medica o quella empirica strictu sensu e non può esserlo se non a scapito di buona parte del vissuto umano.

La psicologia è quel frammento di esperienza umana nella quale si incontrano “oggetti” ed “eventi” -che sono il prodotto delle attività psichiche della persona che ne è portatore- e i costrutti e le teorie di chi le osserva: ci si confronta con asserti la cui validità non è sempre riconducibile alle spiegazioni della logica o della pratica basata sulle evidenze.

La Psicologia dovrebbe, quindi, abbracciare la filosofia, l’antropologia, l’arte, la poesia, la letteratura, il mondo alchemico… ricordando che -solo per non dimenticare le nostre radici- la più arcaica forma di cura è nella figura dello sciamano che vede riflesse le prime manifestazioni/interventi di ordine psichico (spirituale e psicosomatico). Altresì, la Psicologia dovrebbe abbracciare certamente anche le neuroscienze, proprio perché per sua stessa natura ha il potere di arricchirsi di TUTTA l’esperienza umana, dunque anche quella neuroscientifica; tuttavia, arricchirsi di qualcosa non vuol dire diventare quella cosa: la psicologia è qualcosa di più della semplice somma delle discipline di cui si nutre. 

E mentre si lavora affinché le persone diventino loro stesse, assolvendo alla loro vera natura, in modo assolutamente contraddittorio e incongruente, molti vogliono alterare l’identità della professione che rappresentano, invece di farla essere ciò che essa è.

Quindi la domanda è “chi ha scelto Psicologia, sa davvero di cosa ha scelto di occuparsi?”


Una considerazione aggiuntiva: la nostra legge ordinistica è frutto di un compromesso con i medici, che volevano continuare a fare quello che già facevano prima che venisse istituita la nostra professione (cioè occuparsi di psicologia; infatti, la psicoterapia non è un atto tipico a sé, ma il prodotto giuridico di tale compromesso) e ciò a comportato:
una rincorsa al modello medico fronte politico (la nostra legge ordinistica porta il nome di uno psichiatra e vedi oggi la rincorsa allo Psicologo di base/delle cure primarie),
una rincorsa al modello medico sul fronte operazionale (vedi la visione tutta orientata alla patogenesi e alle etichette diagnostiche)
all’uso di terminologie mediche (anamnesi, pazienti…),
a termini di paragone -peraltro sbagliati- con i medici (ad es. quelli sulla specializzazione)
a categorie diagnostiche ti tipo medico-psichiatrico (vedi DSM)

Probabilmente questo scimmiottamento del modello medico si nutre di questo aspetto più di quanto si possa immaginare, pagando così lo scotto di una identità professionale precaria, di cui si ha ben poca consapevolezza.

Gli Psicologi sono, a oggi, quella categoria di professionisti che, per valorizzare il proprio ruolo, hanno dimenticato le loro radici e di essere professionisti della relazione, bramando di diventare come i medici, i quali la relazione con il paziente l’hanno abdigata a livelli di iterazione fortemente up-down, che spesso rilega la persona in un ruolo di passività. 

Inoltre, per concludere questa riflessione, mi preme ricordare che i paradigmi psicologici sono nutriti da concetti, assunti, costrutti, regole che guidano gli studiosi nella loro conoscenza e nella soluzione di problemi… e non pretendono di cogliere la verità o di descrivere una realtà oggettiva, altrimenti ognuno di essi si chiamerebbe DOGMA e non PARADIGMA.

E spesso si dimentica che anche la significatività statistica a cui spesso si fa riferimento poggia su un accordo comunitario e non su assiomi o su leggi di natura.

Leggi anche:https://scuoladipsicologia.com/2021/04/14/psicologo-come-professione-sanitaria-unidentita-snaturata/
Leggi anche:https://scuoladipsicologia.com/2021/08/18/origini-e-discendenze-della-disciplina-psicologica/

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Francesca Di Donato – Psicologa
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