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2 anni ago · · 0 comments

Il figlio prescelto. Francesca Di Donato

Accade di essere il figlio prescelto.

Eppure prescelto non equivale a privilegiato.

Essere il prescelto porta in sé uno costo talvolta -o spesso- molto alto.

Un costo orientato a rivestire un ruolo che non compete, a riempire un vuoto, a soddisfare dei bisogni, delle aspettative non esplicitate eppure presenti, consistenti, persistenti e profondamente logoranti.

Può voler dire dover rispondere a una richiesta di aiuto più grande di sé.

Si potrebbe pensare sia il figlio che prende di più e, invece, è solo il figlio su cui si investe di più affinché assolva a quel ruolo non richiesto.

Essere il prescelto può comportare la profonda angoscia di chi, nel volersi sottrarre, deve confrontarsi con la suprema colpa del tradimento, del torto inferto all’altro, per il solo fatto di non voler assolvere a questa funzione. La stessa funzione per cui si scopre di essere nato.

Essere il prescelto e non volerlo essere vuol dire, dunque, rompere un patto, un sacro accordo, firmato a propria insaputa, con chi gli ha dato la vita.

È il dramma dell’essere visti troppo, già prima di esistere, e per le cose sbagliate.

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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute – percorsi individuali, di coppia e in gruppo: in presenza e online
Formatore e Supervisore: in presenza e online – SCUOLA DI PSICOLOGIA lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi

2 anni ago · · 0 comments

Aspettative. Francesca Di Donato

L’aspettativa è spesso quella volontà non comunicata che qualcuno si concede di avere sul tuo conto senza chiederti il permesso.
L’aspettativa è quella strana condizione per cui, se la persegui, rischi di compromettere, ledere o perfino perdere te stesso.
Sì, perché l’aspettativa ha a che fare con l’altro, non riguarda te.
Se qualcuno si arroga l’arbitrario diritto di aspettarsi qualcosa da te, tu concediti l’indiscusso diritto di deluderli a testa alta.

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Francesca Di Donato – Psicologa
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3 anni ago · · 0 comments

Risposta a una recensione atipica sul libro di Counseling psicologico. Francesca Di Donato

Mi spiace notare che perfino in una recensione possano finirci conclusioni del tutto arbitrarie e non verificate sull’autore, andando a colpire sul personale, senza limitarsi sul contenuto e che la valutazione del contenuto sia contaminata da disinformazione o da preferenze personali passate come verità, come quelle sulla parte editoriale o su come si scrive un libro.

Va bene che qualcuno dica che il mio libro non sia di suo gradimento, perché afferisce al parere personale.
Va molto meno bene che si chiamino in causa considerazioni basate su informazioni errate o su inferenze arbitrarie sulle intenzioni.

Dato che il 90% della recensione poggia sull’editoria, mi son chiesta se questo è il risultato dei “NO” risposti alle proposte di pubblicazione editoriale ricevute, solo che poi leggo sul profilo che trattasi di un collega, quindi mi chiedo come mai tanta attenzione sbilanciata e poco corretta rispetto ai contenuti.

Proviamo quindi anche in questa occasione a fare corretta informazione.

Veniamo al dunque. In corsivo e in grassetto trovate la recensione, discussa pezzo per pezzo.

“Secondo la mia impressione è come se più che un libro psicologico (che in quanto tale dovrebbe seguire delle norme di scrittura scientifiche) sia un “infoprodotto” stampato.”
Gli infoprodotti sono prodotti digitali di natura informativa, basati sull’esperienza di un professionista, pensati per risolvere un problema o una necessità di un potenziale cliente attraverso l’offerta di un contenuto di valore.
Se il contenuto dell’offerta è psicologico, l’infoprodotto è di natura psicologica.
Le norme di scrittura scientifica sono quei passaggi obbligati per chiunque voglia occuparsi di ricerca per comunicare i risultati ottenuti nei progetti di ricerca e sia delle bestpractice,  espressi, appunto, secondo i principi e i metodi della scrittura scientifica, poiché rappresenta la forma di comunicazione ufficiale tra ricercatori che rendono pubblici i metodi e i risultati del proprio lavoro sperimentale.
Questa pubblicazione non ha una finalità sperimentale e, anzi, come descritto dal sottotitolo, vuole essere una sorta di quaderno dove sono raccolti stimoli, informazioni divulgative, riflessioni sulle informazioni, considerazioni e strumenti pratici utili alla professione in termini operativi, riportati con un taglio artigianale.
Apprezzo che almeno qui sia stato inserito “secondo la mia impressione”.

Forma:
Non segue le norme editoriali di base e contiene errori dattilografici che ripetendosi interrompono il flusso della lettura.
Le norme editoriali sono un insieme di convenzioni, quindi, non sono regole assolute, che regolano la stesura di un testo scritto: ogni casa editrice, infatti, ha le sue e questa è un pubblicazione indipendente, per cui mi son presa licenza di scegliere le mie. Mi spiace se questo ha reso complessa la lettura per il collega. Nel libro precedente, per esempio, i caratteri erano stati ritenuti grandi per qualcuno e, in questo, dopo averli rimpiccioliti, qualcuno li ha trovati troppo piccoli. Ecco, temo sia impossibile accontentare tutti, ma vediamo cosa si può fare in futuro per rendere l’esperienza più agevole.
Sui eventuali errori dattilografici revisionerò ulteriormente il testo.

Esempio: non c’è il rientro a ogni nuovo capoverso; c’è incoerenza nell’allineamento del testo (a volte è allineato in modo “giustificato”, altre volte è allineato a sinistra);
Il rientro non è obbligatorio.
L’allineamento cambia solo per quelle parti che hanno struttura a sé, rispetto ad altri contenuti, come nel paragrafo dove sono inserite le tracce di rilassamento o di visualizzazione: una cosa non tanto diversa da quei libri che contengono prosa e rime nello stesso testo.

c’è incoerenza nell’uso dei caratteri tipografici: per l’apostrofo a volte usa ’, altre volte ‘, per le virgolette a volte usa “ ”, a volte usa ” “;
mi spiace per aver avuto questo tipo di svista. Ci starò più attenta in futuro.

Per contrassegnare gli incisi, invece che usare la lineetta – usa il trattino -, senza lasciare uno spazio dopo aver aperto l’inciso e senza lasciarne uno prima di chiuderlo, come invece dovrebbe essere;
Si ho usato il trattino, perché in alcune parti si creava uno spazio vuoto eccessivo al quale non ero in grado di riparare. Il limite è stato mio.

Utilizza nel testo caratteri integralmente in maiuscolo, cosa che anche questa viola le norma redazionali;
Nessuna violazione come già scritto non essendo norme assolute, ma convenzioni.

quando fa gli elenchi, invece dei punti elenco usa a volte i punti fermi, a volte i trattini.
sono alternati solo se un elenco contiene un sottoelenco, per una gestione ottimizzata degli spazi oppure quando volevo differenziare la natura dell’elenco: insomma non è lasciato al caso.

Capisco che si tratti di un testo “independently published”, ma non credo si possano trascurare le norme editoriali di base nella stesura di un testo destinato alla pubblicazione.
Di nuovo: le norme editoriali sono un insieme di convenzioni, quindi, NON sono regole assolute, che regolano la stesura di un testo scritto: ogni casa editrice, infatti, ha le sue e questa è un pubblicazione indipendente, per cui mi son presa licenza di scegliere le mie.

Contenuto:
Buono il primo capitolo, in cui argomenta a favore del fatto che lo psicologo possa svolgere delle attività che spesso si crede possano essere svolte soltanto da psicologi con una specializzazione in psicoterapia. Argomenta basandosi sulla legge 56/89 e sul codice deontologico, oltre che altri documenti presenti sul sito del CNOP (consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi).
In realtà ci sono ben più fonti giuridiche di quelle citate o presenti sul sito del CNOP: come mai, per l’importanza data ad esse, proprio questo sfugge?

Tuttavia: in tutti gli altri capitoli non indica quasi alcuna fonte. Non lo fa né nel testo tra parentesi come si fa nei manuali o saggi scientifici, né nelle note a piè di pagina.
Le fonti sono indicate tutte, in qualunque richiamo altrui riportato nei vari contenuti. Anche fonti bibliografiche come quelle presenti a pagina 10 del libro.
E’ la bibliografia a non esserci, perché non ho usato libri per la stesura di questo testo, ma ho riportato le mie conoscenze, frutto di anni di studi, anche universitari, ormai interiorizzate e i miei appunti organizzati negli anni. 
Avrei dovuto, quindi, citare me stessa come fonte secondaria, scrivendo qualcosa come “secondo Rogers (citata da Francesca Di Donato)…” e probabilmente questo sarebbe stato un po’ troppo autoreferenziale.
La fonte ha lo scopo di non commettere plagio e di rispettare il diritto d’autore e questo è stato garantito, così come è espressamente dichiarato quando qualcosa afferisce a un mio parere o considerazione personale.
E mi auguro che con la scusa dello “scientifico” non si voglia limitare la libertà espressiva di qualcuno, che resta un diritto qualunque disciplina sia chiamata in causa.

Inoltre non indica alcuna bibliografia a fine libro (dove invece inserisce una presentazione di sé stessa e 5 pagine in cui promuove i suoi corsi).
Le fonti bibliografiche in bibliografia vanno inserite se effettivamente si attinge a dei testi pubblicati. Nell’altro libro, invece, quello di Training, c’è appendice, bibliografia e indice analitico dei nomi, proprio per la natura dei contenuti e per la modalità di stesura. Ironia della sorte l’aver messo queste cose è stato motivo di attribuirmi l’intento di allungarne il brodo.
Anche certi libri, pubblicati da case editrici non hanno alcuna bibliografia: esempio “Le lacrime di Nietzsche di Irvin D.Yalom, Biblioteca Neri Pozza”.

Quando si scrive un testo scientifico (e un libro che parla di counseling psicologico, dove la psicologia è una scienza: deve essere scientifico), non si può prescindere dal tenere conto di quanto hanno detto altri autori più autorevoli riguardo ai costrutti psicologici di cui si parla, a meno che non si voglia scrivere, più che un testo scientifico, un testo di altro tipo, come appunto un testo promozionale.
Ciò che viene contestato è stato fatto in realtà ed è possibile verificarlo nelle pagine indicate poco sotto.

Mi sembra infatti più un testo per pubblicizzare i suoi corsi, che non un libro che voglia offrire un valido contributo in questo ambito.
L’autopromozione di uno psicologo è spesso trattato dai colleghi come un torto o un’infamia: comprendo che per qualcuno possa essere così, ma mi chiedo come sia possibile che 5 pagine, annullino il valore delle 195 precedenti, fatto salvo, ovviamente, non voler riversare su una recensione questioni personali. Oltre al fatto che il moralismo ha ben poco di scientifico come atteggiamento.
Scientifici, ripeto, devono essere i contenuti, non la scrittura in sé che può rispondere allo stile personale dell’autore, purché venga rispettata la patria potestà di eventuali richiami o citazioni, cosa che è stata fatta.

Tra l’altro: secondo l’articolo 35 del codice deontologico degli psicologi, lo psicologo è tenuto a indicare la fonte degli altrui contributi, cosa che lei non fa. Secondo l’articolo 5, lo psicologo può impiegare solo metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti e i riferimenti scientifici, perciò: uno psicologo nel suo esercizio non potrebbe utilizzare le informazioni trovate in questo libro, dato che, non indicando l’autrice le fonti: il testo risulta non scientifico. Inoltre: secondo l’articolo 7, lo psicologo valuta attentamente il grado di validità e attendibilità delle fonti su cui basa le conclusioni raggiunte, e anche questo comporta che uno psicologo che usa le informazioni presenti in questo libro sta violando questo articolo del codice.
Come prima: le fonti sono indicate, che si tratti di quelle giuridiche, di quelle deontologiche o quelle per autore.
Indico alcune pagine con richiami altrui da me parafrasati:
pag.5
pag.9
pag. 10 (fonti bibliografiche in corpo al testo)
pag.33
pag.48
pag.77
pag.137
pag.144
pag.150
pag.154
pag.155
pag.157
pag.158
pag.159
pag.161
pag.166
pag.177
pag.17
dunque, siccome chi vuole ha comunque modo di verificare la veridicità delle informazioni riportate, seppure con uno sforzo maggiore rispetto al ritrovarsi un riferimento bibliografico preciso con tanto di pagina, il richiamo al codice deontologico è un richiamo forzato e assolutamente inappropriato.
Mi preme ricordare, inoltre, che anche i paradigmi psicologici studiati all’università sono nutriti da concetti, assunti, costrutti, regole che guidano gli studiosi nella loro conoscenza e nella soluzione di problemi… e non pretendono di cogliere la verità o di descrivere una realtà oggettiva, altrimenti ognuno di essi si chiamerebbe DOGMA e non PARADIGMA. 

Una cosa fastidiosa è che usa anche tecniche persuasorie, sul suo sito, per spingere le persone ad affrettarsi ad acquistare il testo, testualmente scrive: “suggerisco di acquistarlo prima che il prezzo si alzi”, cioè usa il principio di scarsità (vedi Influence: Science and Practice, Cialdini 2021). Un autore autorevole non credo che spingerebbe ad acquistare la sua opera per questioni di scarsità, bensì semmai per la qualità del contenuto della stessa.
Non ho mai pubblicizzato il mio libro in questo modo.
L’unica volta che ho invitato a sfruttare l’offerta era nella pagina sul corso sulla Gestione del colloquio, sul sito, per dare la possibilità agli allievi del corso stesso, che il libro lo hanno come libro di testo e quindi comunque avrebbero dovuto acquistarlo, di sfruttare l’offerta presente e pagarlo meno. L’autore di un libro non ha informazioni sulle scelte di Amazon, quindi quella voleva essere una premura per consentire loro di averlo a meno.
Mi fa piacere aver attirato così tanta attenzione, al punto da andare anche sul sito a scrutarne i contenuti. Avrei gradito che tutta questa partecipazione, data persino all’uso dei trattini e delle virgolette, fosse stata dedicata a notare anche dove si stavano prendendo certe frasi, contestualizzandole in modo opportuno, per riportarle con la stessa minuziosa attenzione.

Faccio notare che la parte editoriale (trattini, virgolette, capoverso, citazioni, bibliografia, richiesta di una precisa scrittura, ha caratterizzato la maggior parte della recensione) a scapito dei contenuti per i quali sono state riportate nella recensione informazioni non corrette, per poi esprimere in chiusura un’attribuzione arbitraria di intenti suggestivi da parte dell’autore.

Se potessi lo restituirei e chiederei il rimborso, ma dato che l’ho aperto, sfogliato e letto, non lo faccio per onestà.
Amazon mette in conto il reso anche dopo aver letto un libro. Credo che l’onestà non venga meno in tal senso. Anzi qualcuno potrebbe acquistarlo a un prezzo ridotto.

Spero comunque che questa recensione possa avere funzione di feedback che possa:
– aiutare il potenziale lettore a capire se effettivamente investire denaro e tempo nella lettura di questo libro;
– far riflettere l’autrice su una eventuale revisione del testo, o su una scrittura più scientifica per i suoi prossimi lavori.
Ci rifletterò certamente.
Con questa risposta, di contro, invito i colleghi, anche quelli che ci tengono alla cura del dettaglio, di applicare la stessa minuziosa attenzione ai propri contenuti, quelli che portano a sostegno delle proprie posizioni: le scelte da me operate, così come eventuali sviste nella stesura del testo non arrecano danno a nessuno. Al contrario, le sviste, le imprecisioni e la disinformazione passate come verità, possono danneggiare il lavoro altrui; la nostra categoria ha una tradizione lunga 30 anni di disinformazione, pareri personali passate per verità e informazioni non verificate. Cambia il contenuto, ma l’atteggiamento resta lo stesso.
L’invito è verificare sempre quindi che ciò che si sta asserendo sia vero, altrimenti astenersi e limitarsi a pareri personali, cosa che una recensione consente.

Inoltre, sottolineo che ostacolare il pensiero critico è un atteggiamento tipico dei regimi totalitari: vediamo di non ridurre la scienza allo stesso riduzionismo, a scapito della complessità dei processi con i quali ci confrontiamo e che richiedono ANCHE una posizione filosofica e fenomenologico-esistenziale, per la quale non c’è alcunché da dimostrare, visto che esprime un punto di partenza.
I libri tanto ricercati in bibliografia da alcune recensioni devono essere letti per imparare a pensare, a ragionare, a stimolare le riflessioni, ad ampliare la visione del mondo, prima che a sapere.
Se ci fossimo sempre fermati solo a quanto hanno avuto da dire fonti autorevoli venute prima di noi o i manuali blasonati, saremo fermi a Freud, avremo ancora l’omosessualità nel DSM, nessuno avrebbe dovuto nominare il burnout prima di quest’anno.
Ricordiamoci che questa disciplina evolve grazie a chi si permette di riflettere su ciò che studia, che osserva e di cui ha esperienza, permettendosi di ragionare, se occorre, anche fuori dagli schemi.
Francesca Di Donato

 

3 anni ago · · 0 comments

Goccia cinese. Francesca Di Donato

Quando si parla di traumi psicologici, il pensiero comune porta a pensare, nella maggior parte dei casi, a qualche evento particolare che la persona si è trovata ad affrontare nella vita oppure a qualche dinamica nella quale è stata coinvolta o a un ruolo non conforme al suo originario posizionamento familiare.
Eppure c’è qualcosa che si comporta in modo assolutamente sotto soglia e per questo meno intercettabile e apparentemente innocuo, che danneggia nel suo essere costante e ripetitiva: parlo di un certo linguaggio verbale e non verbale.
Hai presente la goccia che riesce a scavare la roccia? Ecco.
Ci riesce per la sua costanza, non per la sua forza che, di contro, è pressoché assente.
Questo meccanismo ha così tanto potere di turbare profondamente qualcuno che viene usato anche come forma di tortura.
Non so se hai mai sentito l’espressione “goccia cinese” o “tortura cinese”.
È una forma di tortura lenta eppure crudele che consiste nel far cadere sulla fronte di un prigioniero immobilizzato, sempre nello stesso punto, una goccia d’acqua fredda a intervalli regolari, con effetti devastanti su chi vi fosse sottoposto, sia dal punto di vista psicologico, sia fisico, al punto da portare fino alla pazzia e/o alla morte.
Una goccia.
Così le parole o certi modi di fare, possono avere l’aspetto innocuo e inizialmente gestibile di una goccia d’acqua ma, per la loro costanza, lasciare un segno indelebile sull’altro, fino a insinuarsi al punto da creare varchi capaci di rendere l’altro maggiormente suscettibile anche ad altre stimolazioni esterne.
Le cose si complicano quando la persona è sottoposta a più gocce, seppur con dimensioni, ritmicità e frequenze diverse, perché esposta a tutto un sistema comunicativo disfunzionale.
Pensa, quindi, a nascere e a crescere in un sistema familiare fatto di gocce: non può esservi appartenenza, non può esservi rifugio, né base sicura in un sistema che ti espone, anche se inconsapevolmente, a una lenta e progressiva agonia.
Per questo è importante che, quando non si può agire sulla fonte di quella goccia, come accade per altro la maggior parte delle volte, la persona si dia il permesso di sottrarsi, di venir meno a quell’esposizione: l’unica strada per salvare se stesso.

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Francesca Di Donato – Psicologa
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3 anni ago · · 0 comments

La consapevolezza ha un costo. Francesca Di Donato

Attraverso essa lo sguardo coglie dettagli e sfumature, discese e vette mai raggiunte prima.
Lo sguardo si allarga in ampiezza e profondità e gli elementi a tua disposizione aumentano.
Eppure la consapevolezza ti mostra anche i più oscuri abissi, le spoglie sorgenti di acque contaminate e gli aridi terreni dai quali la vita, perfino la tua, fa fatica a prendere piede.
La consapevolezza può essere una carezza e anche un pugno.
È un potere impegnativo, a tratti scomodo, da detenere: se lo possiedi e resti fermo, ti divora;
se lo possiedi e lo eserciti si trasforma in opportunità.
La consapevolezza ha un costo.
Senza di essa rischi di vivere solo la versione passiva, inconsapevolmente adattata di te.
Con essa, di contro, hai l’opportunità di viverla davvero la vita, invece di scorrerci semplicemente attraverso.
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Francesca Di Donato – Psicologa
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3 anni ago · · 0 comments

Copione di vita: il potere in quello che reciti e in quello che scrivi. Francesca Di Donato

Parliamoci chiaro.
Anche quando fai di tutto per fare la comparsa o per restare dietro le quinte di un palcoscenico condiviso, sei e resti protagonista della TUA vita e, al di là di cosa tu stia facendo o stia evitando di fare, buona parte del copione è scritto per mano tua, e lo stili in prima persona anche tutte quelle volte in cui riprendi, più o meno inconsapevolmente, recitandoli passo passo, stralci di sceneggiatura scritti da altri sul tuo conto e sul mondo più prossimo che ti circonda.

Questa te la offro come possibile lettura, non come verità; come visione alternativa potenziante, non come dogma.
Questo a me ricorda che, in un modo o nell’altro, ho sempre un margine più o meno grande di volontà e azione da esercitare.

Lo percepisco come un processo.

Ci credo, come poc’anzi scritto, e aggiungo che ho anche voglia di crederlo, scelgo di crederlo, perché l’idea dell’impotenza, della deresponsabilizzazione, del vittimismo passato come condizioni a cui arrendersi passivamente non sono utili alla vita che sto vivendo, alla vita che intendo vivere.
Non risponde ai miei valori.
Vale per me ovviamente e, ora, la offro a te come spunto di riflessione.

Sai perché sollevo la questione?
Perché buona parte dei benpensanti di nuova generazione tacciano di “colpevolizzazione” o di estremismo filomotivazionale qualunque contenuto stia lì a ricordarti che hai un ruolo e un potere da esercitare e che stai agendo nella tua vita.
E chi si fa portavoce di queste narrazioni, seppur talvolta sia mosso dalle migliori intenzioni, non si accorge che rischia di sottrarre potere, autodeterminazione, autostima, autoefficacia e di rinforzare un atteggiamento indelebile di resa.
Anche perché avere potere e riconoscersi di giocare sempre, nel bene e nel male, un ruolo non vuol dire affatto vincere tutte le battaglie, raggiungere sempre massimi risultati o fare proprio qualunque obiettivo.
Né tantomeno significa che qualunque cosa o circostanza o risultato dipenda completamente da te o da me o da chicchessia.
Non si tratta neppure di avere delle colpe o che l’intento di qualcuno sia colpevolizzarti.
Anzi.

Chi riesce a riconoscersi fino in fondo questo potere, a mio avviso, se ne frega di rispondere a chissà quale standard e di perseguire 12 fatidiche fatiche per espiare chissà quale colpa.
Chi si riconosce questo potere mette in conto l’errore, la fatica, il fallimento, l’abbrutimento, lo sconforto, la sconfitta, la resa o che qualcosa possa superare -per frequenza, intensità, peso o mole- le proprie capacità di risposta.
Li mette in conto, ma non come condizioni statiche, perpetue che avviliscono e depotenziano.
Le mette in conto come fasi, passaggi, condizioni temporanee che fanno parte della vita e dell’essere umano che, in quanto tale, è capace talvolta o spesso, a seconda dei casi, perfino di usare i propri poteri contro se stesso.

D’altronde siamo fatti della stessa sostanza dei sogni: imperfetti, criptici, allegorici, dispiegati tra il latente e il manifesto.
Tutta la psiche umana, nel suo soffio vitale e corporeo, non è altro che questo.

E se non credessi in ciò, potrei mai fare il lavoro che faccio? La risposta per me è assolutamente no.
Ogni volta che lavoro con qualcuno, che sia per lo svincolo, per l’elaborazione, per la riconciliazione, per la crescita, per il cambiamento, per l’ascesa e la discesa verso se stesso, non faccio altro che individuare e evidenziare, affinché emerga e si espliciti, proprio questo nucleo di potere e, nel mentre, cerco le tracce delle orme lasciate indietro e illumino i passi che muove man mano lungo la sua via.

Di che altro si nutre, altrimenti, questo lavoro?!

Tutto questo per dire semplicemente che esistono tante letture quante sono le persone capaci di esprimerle e che l’unica cosa che conta è assicurarsi che si stia vivendo nella propria narrazione e non in quella offerta e generalizzata da qualcun altro.
Dal canto mio, ritengo ci sia un posto meraviglioso che merita di essere vissuto e che sta nel mezzo tra il “te la sei cercata” e il “sei la vittima”, uscendo fuori da questa dicotomia tossica.
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La forza dietro la debolezza. Francesca Di Donato

3 anni ago · · 0 comments

La forza dietro la debolezza. Francesca Di Donato

Ci sono persone che vivono in un modo così invischiato con certe dinamiche da apparire deboli.
Una narrazione, questa, che appare vera sia al narrante, che allo spettatore.
Eppure per vivere o sopravvivere in un sistema fatto della stessa sostanza dell’infelicità, le risorse non possono che esserci: se non ci fossero si soccomberebbe anziché riuscire, seppur a fatica, a trascinarsi tanto a lungo in quella drammatizzazione di sé.
La forza c’è. È solo indirizzata verso il fine sbagliato.
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3 anni ago · · 0 comments

A ognuno il suo viaggio. Francesca Di Donato

Si può intraprendere un viaggio e scegliere di percorrere il percorso l’autostrada con tanto di tagliando, con tariffa corrispettiva che ti certifica il percorso fatto.
Inoltre i tempi di percorrenza sono più o meno stabiliti, perché vuoi o non vuoi hai una velocità a cui attenerti.
Si può, tuttavia, scegliere di fare un viaggio attraversando sentieri poco battuti e di farlo sulle proprie gambe che consentono di percorrerlo con i propri tempi, qualunque essi siano.
In questo caso nulla certifica il tratto percorso eppure anche esso viene tracciato e la qualità dell’esperienza potrebbe essere perfino migliore di un viaggio in autostrada e anche se non serve una patente per praticarlo.
E nel mezzo? Tante possibilità.
Si può fare un viaggio percorrendo con una bici strade interne di città e strade che costeggiano paesaggi più selvaggi.
Si può fiancheggiare la costa con una moto, oppure ancora viaggiare in treno con tutta l’attenzione a mirare ciò che i tuoi occhi incontrano senza la responsabilità della guida.
Si può volare in aereo accorciando i tempi ma perdendo molto del tragitto.
Si può andare in nave e perdersi nella meraviglia di orizzonti che appaiono infiniti.
E alcuni tragitti potresti mai averli tracciati prima eppure hai pieno diritto di addentrarti nel nuovo viaggio.
Ognuno di questi percorsi assume vero valore solo in base a chi lo traccia: può essere uno sterile e insignificante traino di se stessi oppure un pezzo di ricchezza che entra in pieno diritto nel bagaglio dell’esperienza per il modo in cui lo si percorre, al di là del mezzo e del tragitto, che sia da soli o in compagnia, con una guida o in solitaria.
Ecco. Il percorso formativo di ognuno è esso stesso un viaggio e ognuno lo percorre con bagagli, mezzi, prospettive e sguardi diversi.
Ognuno è capace di estrapolare dal viaggio la sua esperienza che non sarà mai replicabile, neanche quando si è in due sullo stesso mezzo nel percorrere la stessa via: ognuno avrà sempre un proprio bagaglio e un personalissimo sguardo, più o meno profondo, più o meno attento, più o meno consapevole verso di sé e verso le cose che incontra strada facendo.
Per questo conta che ognuno si occupi del proprio viaggio limitando le conclusioni su quello altrui: di quel viaggio non sai spesso un bel niente, neanche quando condividi lo stesso mezzo orientato nella stessa direzione.

Dal canto mio, ai viaggi patentati da terzi, preferisco sentieri da percorrere con le mie gambe, nutrendomi della saggezza di chi incontro e scelgo di incontrare lungo il cammino… il mio cammino e non quello imposto da altri.
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Francesca Di Donato – Psicologa
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3 anni ago · · 0 comments

Opinioni e fatti. Francesca Di Donato

Opinioni e fatti non sono la stessa cosa.

“Un fatto è ciò che ha consistenza vera e reale, in opposizione a ciò che non è concreto, tangibile, sicuro” Treccani.

“L’opinione esprime, invece, la convinzione che una o più persone si formano nei confronti di specifici fatti in assenza di precisi elementi di certezza assoluta per stabilirne la sicura verità.” Treccani.

Su un fatto si può esprimere un’opinione, purché questa cosa sia esplicitata in modo da non far nascere fraintendimenti e avere una efficacia nel trasferimento del contenuto di quanto si sta asserendo.
Ma far passare o trattare una propria opinione come fatto è un arbitrio e un atto poco consono quando applicato a faccende di tipo professionale.
Sui fatti non ci sono “secondo me” “concordo” che tengano. Il fatto è qualcosa di cui bisogna solo prendere atto.

Pregiudizi e false credenze, atteggiamenti di chiusura verso nuove prospettive -agiti nella loro implicita inconsapevolezza- alimentano il rischio di trattare una propria opinione come fatto e di passarlo come tale.

Un’antidoto a questa tendenza ritengo risieda nel porsi domande, accogliere gli stimoli di riflessione che vengono offerti, informarsi da fonti ufficiali, adoperarsi per sviluppare uno spirito critico ovvero un atteggiamento che si rifiuta di accettare qualsivoglia affermazione senza interrogarsi sulla sua validità e che considera una proposizione come vera solo quando è stata verificata o quantomeno attentamente considerata, valutata, ragionata.

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Pan. Francesca Di Donato

3 anni ago · · 0 comments

Pan. Francesca Di Donato

Pan ci dice che il più forte desiderio della natura ‘dentro di noi’ è di unirsi con se stessa nella consapevolezza, altrimenti è pan-ico.
Dunque, dovremmo tutti ricucirci alla nostra Ombra e farlo al più presto.

Pan

Molti osannano il Piccolo principe (che a me non piace) eppure secondo me il più bel libro di sempre è Peter pan.
Francesca Di Donato

 

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