1 mese ago · Francesca Di Donato - Psicologa · 0 comments
Tutela dei diritti umani e Ordine degli Psicologi. Francesca Di Donato
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Francesca Di Donato – Psicologa
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Partiamo da una verità scomoda: le diagnosi psichiche che sono solo COSTRUTTI che servono ai professionisti per orientarsi attraverso definizioni condivise di dati problemi e a certe persone per rendersi accettabile (e non di rado per deresponsabilizzarsi) un dato funzionamento, per rispondere all’umano bisogno di categorizzare le cose.
La diagnosi è solo un NOME stabilito per descrivere una manifestazione, non è la rappresentazione della realtà oggettiva.
Puoi limitarti a guardare la persona, al di là della diagnosi, con le sue manifestazioni che si traducono in specifici comportamenti, pensieri, disposizioni interne, moti e stati emotivi con un approccio prettamente fenomenologico e scoprire che sei a contatto con molta più roba di quella che ti offre una diagnosi di stampo psichiatrico sul funzionamento della psiche umana.
E’ ora di sganciarsi da questa roba della diagnosi come se esprimesse una lettura oggettiva della psiche umana!
Come psicologi abbiamo il potere di offrire uno sguardo e una lettura alternativa al modello medico (il DSM è un manuale redatto dall’American Psychiatric Association) invece di fare nostro in modo acritico qualunque cosa venga da lì, solo per emularne, pure in modo goffo, lo status.
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Francesca Di Donato – psicologa
Promozione e consapevolezza per una crescita professionale congrua con le attività che si propongono è possibile.
Così come è possibile, tuttavia, inviare messaggi altamente contrastanti che mancano di coerenza e adesione all’attività che si propone.
Promuovere il massaggio psicomotorio, che tra le varie finalità ha riduzione dello stress, diminuzione e rilascio delle tensioni muscolari, invitando ad AFFRETTARSI per non perdere il posto trascina con sé una forte ambivalenza, un contrasto disfunzionale.
“La fretta” e lo “sbrigarsi” attivano il sistema nervoso simpatico, rilasciando sostanze come l’adrenalina e il cortisolo, che preparano il corpo per un’azione di emergenza.
Mobilitare questo tipo di comunicazione su attività simili equivale quindi prima a colludere con eventuali distress presenti, sollecitandoli perfino, per poi proporre la soluzione.
Chiediti se ha senso e se ti è utile.
Questo tipo di stimoli, qualora li si voglia usare, andrebbero dunque usati su attività di altro genere.
Questo post prende spunto da un post promozionale visto nell’home page di facebook ed è rivolto solo ed esclusivamente al contenuto, lasciando fuori la persona.
Lo scopo è riflettere su come comunichiamo alle persone per pubblicizzare attività e sulle possibili cause di un avvio professionale mancato e/o di cosa possa sfavorire l’adesione ad alcune proposte/attività/incontri che rivolgete all’utenza.
Potrebbero tornarti utile anche
– Sull’uso della parola “corso” nella promozione professionale – Scuola di Psicologia
– Appunti e spunti di riflessione – Scuola di Psicologia
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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute – percorsi individuali, di coppia, in gruppo
Formazione e supervisione
Scuola di psicologia – lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi
Il seguente articolo, scritto a opera dello Psicologo Giuseppe Cinieri, va ad ampliare la ricca raccolta di ricerche a supporto dell’uso del Training autogeno in diversi contesti e ambiti applicativi, scritta a opera dello stesso Giuseppe Cinieri in collaborazione con la Psicologa Simona Delli Santi, presente nel libro “Training autogeno – il quaderno teorico-applicativo per Psicologi e Dott. in tecniche psicologiche” di Francesca Di Donato, nuova edizione ampliata, in vendita su Amazon
La nuova edizione ampliata contiene più di 100 pagine rispetto alla precedente edizione, tra contenuti applicativi ed esercizi esperienziali scritti con la collaborazione degli Psicologi:
Sara Anderlini – Giuseppe Cinieri – Eugenio Ciompi – Simona Delli Santi – Federico Fioravanti – Federica Mariotti – Debora Mauri – Paola Pellegrino – Noemi Virgilio – Luis Polena (Medico-chirurgo).
Se hai apprezzato il libro e vuoi ricevere il file di questo ampliamento, per completare la raccolta di tutte le possibili applicazioni del TA della tua nuova edizione, scrivi sulla chat whatsapp al numero presente in questo sito, per sapere quali sono i passi necessari per procedere.
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Giuseppe Cinieri Psicologo
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Spesso nel confronto tra colleghi quando si aprono conversazioni sulle competenze intra-categoria in funzione della formazione fatta, viene tirato fuori il discorso sulla gravità/complessità/difficoltà dei disturbi a supporto delle proprie competenze e abilità acquisite.
Ora chiedo a noi tutti:
1) Siamo così certi/convinti che complessità, gravità e difficoltà operativa vadano di pari passo?
2) Davvero si ritiene che la complessità ci sia solo e necessariamente quando parla di disturbi?
3) Non è riduttivo leggere la complessità in funzione del paziente e di ciò di cui si fa portatore, invece di leggerla in relazione a entrambi gli attori, psicologo e paziente e di un incontro tra disposizioni interne?
4) Non è semplicistico escludere l’opzione per cui ciò che è difficile per uno, potrebbe non essere per un altro e che le abilità personali oltre che professionali, le risorse interne e la storia di vita del professionista giochino un ruolo considerevole?
5) Si nota il paradosso di non considerare il ruolo della relazione che si genera e del suo ruolo terapeutico sopra ogni cosa, in una professione prevalentemente a matrice relazionale?
4) si è consapevoli che “complesso” e “difficile” non sono sinonimi?
Avere a che fare con la psiche umana è un fatto complesso di per sé, essa stessa è portatrice di complessità e come si sta, come si sa stare NELLA complessità e CON la complessità è un affare tanto complesso che nessuna formazione può essere eretta a garanzia aprioristica della qualità di questo incontro.
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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute – percorsi individuali, di coppia e in gruppo: in presenza e online
Formatore e Supervisore: in presenza e online – SCUOLA DI PSICOLOGIA lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi
La scienza si nutre del dubbio, della messa in discussione critica e riflessiva.
La scienza avanza ipotesi e poi verifica e il risultato della verifica apre le porte a nuovi dubbi, che spingono verso nuove verifiche e nuove risposte da sondare.
La scienza vera non si nutre di verità o di certezze, tantomeno della certezza dei dati e delle misurazioni, ma parte da essi per evolversi.
La scienza sbaglia ed è proprio l’errore che l’aiuta a definirsi.
La scienza è prudente e valida punti di vista alternativi, non li squalifica… semmai cerca di conoscerli, comprenderli e, se occorre, ridefinirli alla luce delle informazioni e delle osservazioni disponibili.
La scienza è un processo non un fine; è un sistema di conoscenze, non di verità.
Ne consegue che la scienza non può fare a meno della filosofia, perché rischierebbe di non comprendere e né di aderire a se stessa in tutto il processo che la determina.
E poi c’è chi fa scienza, perché essa senza spettatori e attori non esiste e costoro possono onorare la scienza o depravarla.
Quindi chi dice “credo nella scienza”, chi la tratta come Somma verità del proprio operato, chi la corrompe, chi la contrappone bellicamente alla filosofia, sta agendo un’adesione religiosa, alla stregua della fede e questo ha ben poco di scientifico.
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Francesca Di Donato – Psicologa
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Si immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dalla nascita, nelle profondità di una caverna.
Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che possano solo fissare il muro dinanzi a loro.
(coloro nati con la credenza indotta dall’esterno che l’unica opzione fosse la psicoterapia per occuparsi di clinica)
Si pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri sia stato acceso un enorme fuoco e che, tra il fuoco e i prigionieri, è stato eretto un muretto lungo il quale alcuni uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone.
Le forme proietterebbero la propria ombra sul muro e questo attirerebbe l’attenzione dei prigionieri.
(Azione perpetrata da coloro a cui tornava utile che si credesse la psicoterapia fosse l’unica opzione per occuparsi di clinica)
Mentre un personaggio esterno avrebbe un’idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (incatenati fin dall’infanzia), sarebbero portati a interpretare le ombre come oggetti, animali, piante e persone reali.
Si supponga che un prigioniero venga liberato dalle catene (coloro che si sono dati o a cui sono stati dati strumenti per mettere in discussione credenze e pregiudizi sul tema) e sia costretto a rimanere in piedi, con la faccia rivolta verso l’uscita della caverna: in primo luogo, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del sole ed egli proverebbe dolore.Inoltre, le forme portate dagli uomini lungo il muretto gli sembrerebbero meno reali delle ombre alle quali è abituato; persino se gli fossero mostrati quegli oggetti e gli fosse indicata la fonte di luce, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, preferirebbe volgersi verso le ombre.
Allo stesso modo, se fosse costretto a uscire dalla caverna e venisse esposto alla diretta luce del sole, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a vedere alcunché. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s’irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo.
Volendo abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero riuscirebbe inizialmente a distinguere soltanto le ombre delle persone e le loro immagini riflesse nell’acqua e solo con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi. (processo che, a partire da una prima reazione di shock davanti a qualcosa che mette in luce la disinformazione, porta verso la realizzazione e sulla consapevolezza sulla base della corretta informazione)
Successivamente, egli potrebbe, di notte, volgere lo sguardo al cielo, ammirando i corpi celesti con maggior facilità che di giorno. Infine, il prigioniero liberato sarebbe capace di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell’acqua, e capirebbe che:
«è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e a essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano.» |
(realizzazione e acquisizione di una tutela personale da eventuali manipolazioni)
Resosi conto della situazione, egli vorrebbe senza dubbio tornare nella caverna e liberare i suoi compagni (coloro ancora intrappolati nelle false credenze, nei pregiudizi e nella disinformazione), essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà: il problema, però, sarebbe proprio quello di convincere gli altri prigionieri a essere liberati.
Infatti, dovendo riabituare gli occhi all’ombra, dovrebbe passare del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente anche nel fondo della caverna; durante questo periodo, molto probabilmente egli sarebbe oggetto deriso da parte dei prigionieri, in quanto lo vedrebbero in difficoltà a muoversi nel buio)“.
Inoltre, questa sua temporanea inabilità influirebbe negativamente sulla sua opera di convincimento e, anzi, potrebbe spingere gli altri prigionieri a ucciderlo (tutti i tentativi che vanno dagli attacchi, alle svalutazioni, dalle segnalazioni basate su pregiudizi, disinformazione, al tentativo di calpestare il codice deontologico degli psicologi) , se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, in quanto, a loro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell’accecamento e la fatica della salita per andare ad ammirare le cose da lui descritte. (mettere in discussione le proprie rigide credenze e mettere in discussione chi le ha alimentate è un processo impegnativo, specie se vuol dire mettere anche in discussione in modo significativo buona parte delle proprie scelte di vita sul fronte lavorativo)
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Buona riflessione, colleghi!
Francesca
Mito della caverna di Platone
Libro settimo de La Repubblica (514 b – 520 a).
Immagine presa da Wikipedia, nell’omonima voce.
Mi spiace notare che perfino in una recensione possano finirci conclusioni del tutto arbitrarie e non verificate sull’autore, andando a colpire sul personale, senza limitarsi sul contenuto e che la valutazione del contenuto sia contaminata da disinformazione o da preferenze personali passate come verità, come quelle sulla parte editoriale o su come si scrive un libro.
Va bene che qualcuno dica che il mio libro non sia di suo gradimento, perché afferisce al parere personale.
Va molto meno bene che si chiamino in causa considerazioni basate su informazioni errate o su inferenze arbitrarie sulle intenzioni.
Dato che il 90% della recensione poggia sull’editoria, mi son chiesta se questo è il risultato dei “NO” risposti alle proposte di pubblicazione editoriale ricevute, solo che poi leggo sul profilo che trattasi di un collega, quindi mi chiedo come mai tanta attenzione sbilanciata e poco corretta rispetto ai contenuti.
Proviamo quindi anche in questa occasione a fare corretta informazione.
Veniamo al dunque. In corsivo e in grassetto trovate la recensione, discussa pezzo per pezzo.
“Secondo la mia impressione è come se più che un libro psicologico (che in quanto tale dovrebbe seguire delle norme di scrittura scientifiche) sia un “infoprodotto” stampato.”
Gli infoprodotti sono prodotti digitali di natura informativa, basati sull’esperienza di un professionista, pensati per risolvere un problema o una necessità di un potenziale cliente attraverso l’offerta di un contenuto di valore.
Se il contenuto dell’offerta è psicologico, l’infoprodotto è di natura psicologica.
Le norme di scrittura scientifica sono quei passaggi obbligati per chiunque voglia occuparsi di ricerca per comunicare i risultati ottenuti nei progetti di ricerca e sia delle bestpractice, espressi, appunto, secondo i principi e i metodi della scrittura scientifica, poiché rappresenta la forma di comunicazione ufficiale tra ricercatori che rendono pubblici i metodi e i risultati del proprio lavoro sperimentale.
Questa pubblicazione non ha una finalità sperimentale e, anzi, come descritto dal sottotitolo, vuole essere una sorta di quaderno dove sono raccolti stimoli, informazioni divulgative, riflessioni sulle informazioni, considerazioni e strumenti pratici utili alla professione in termini operativi, riportati con un taglio artigianale.
Apprezzo che almeno qui sia stato inserito “secondo la mia impressione”.
Forma:
Non segue le norme editoriali di base e contiene errori dattilografici che ripetendosi interrompono il flusso della lettura.
Le norme editoriali sono un insieme di convenzioni, quindi, non sono regole assolute, che regolano la stesura di un testo scritto: ogni casa editrice, infatti, ha le sue e questa è un pubblicazione indipendente, per cui mi son presa licenza di scegliere le mie. Mi spiace se questo ha reso complessa la lettura per il collega. Nel libro precedente, per esempio, i caratteri erano stati ritenuti grandi per qualcuno e, in questo, dopo averli rimpiccioliti, qualcuno li ha trovati troppo piccoli. Ecco, temo sia impossibile accontentare tutti, ma vediamo cosa si può fare in futuro per rendere l’esperienza più agevole.
Sui eventuali errori dattilografici revisionerò ulteriormente il testo.
Esempio: non c’è il rientro a ogni nuovo capoverso; c’è incoerenza nell’allineamento del testo (a volte è allineato in modo “giustificato”, altre volte è allineato a sinistra);
Il rientro non è obbligatorio.
L’allineamento cambia solo per quelle parti che hanno struttura a sé, rispetto ad altri contenuti, come nel paragrafo dove sono inserite le tracce di rilassamento o di visualizzazione: una cosa non tanto diversa da quei libri che contengono prosa e rime nello stesso testo.
c’è incoerenza nell’uso dei caratteri tipografici: per l’apostrofo a volte usa ’, altre volte ‘, per le virgolette a volte usa “ ”, a volte usa ” “;
mi spiace per aver avuto questo tipo di svista. Ci starò più attenta in futuro.
Per contrassegnare gli incisi, invece che usare la lineetta – usa il trattino -, senza lasciare uno spazio dopo aver aperto l’inciso e senza lasciarne uno prima di chiuderlo, come invece dovrebbe essere;
Si ho usato il trattino, perché in alcune parti si creava uno spazio vuoto eccessivo al quale non ero in grado di riparare. Il limite è stato mio.
Utilizza nel testo caratteri integralmente in maiuscolo, cosa che anche questa viola le norma redazionali;
Nessuna violazione come già scritto non essendo norme assolute, ma convenzioni.
quando fa gli elenchi, invece dei punti elenco usa a volte i punti fermi, a volte i trattini.
sono alternati solo se un elenco contiene un sottoelenco, per una gestione ottimizzata degli spazi oppure quando volevo differenziare la natura dell’elenco: insomma non è lasciato al caso.
Capisco che si tratti di un testo “independently published”, ma non credo si possano trascurare le norme editoriali di base nella stesura di un testo destinato alla pubblicazione.
Di nuovo: le norme editoriali sono un insieme di convenzioni, quindi, NON sono regole assolute, che regolano la stesura di un testo scritto: ogni casa editrice, infatti, ha le sue e questa è un pubblicazione indipendente, per cui mi son presa licenza di scegliere le mie.
Contenuto:
Buono il primo capitolo, in cui argomenta a favore del fatto che lo psicologo possa svolgere delle attività che spesso si crede possano essere svolte soltanto da psicologi con una specializzazione in psicoterapia. Argomenta basandosi sulla legge 56/89 e sul codice deontologico, oltre che altri documenti presenti sul sito del CNOP (consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi).
In realtà ci sono ben più fonti giuridiche di quelle citate o presenti sul sito del CNOP: come mai, per l’importanza data ad esse, proprio questo sfugge?
Tuttavia: in tutti gli altri capitoli non indica quasi alcuna fonte. Non lo fa né nel testo tra parentesi come si fa nei manuali o saggi scientifici, né nelle note a piè di pagina.
Le fonti sono indicate tutte, in qualunque richiamo altrui riportato nei vari contenuti. Anche fonti bibliografiche come quelle presenti a pagina 10 del libro.
E’ la bibliografia a non esserci, perché non ho usato libri per la stesura di questo testo, ma ho riportato le mie conoscenze, frutto di anni di studi, anche universitari, ormai interiorizzate e i miei appunti organizzati negli anni.
Avrei dovuto, quindi, citare me stessa come fonte secondaria, scrivendo qualcosa come “secondo Rogers (citata da Francesca Di Donato)…” e probabilmente questo sarebbe stato un po’ troppo autoreferenziale.
La fonte ha lo scopo di non commettere plagio e di rispettare il diritto d’autore e questo è stato garantito, così come è espressamente dichiarato quando qualcosa afferisce a un mio parere o considerazione personale.
E mi auguro che con la scusa dello “scientifico” non si voglia limitare la libertà espressiva di qualcuno, che resta un diritto qualunque disciplina sia chiamata in causa.
Inoltre non indica alcuna bibliografia a fine libro (dove invece inserisce una presentazione di sé stessa e 5 pagine in cui promuove i suoi corsi).
Le fonti bibliografiche in bibliografia vanno inserite se effettivamente si attinge a dei testi pubblicati. Nell’altro libro, invece, quello di Training, c’è appendice, bibliografia e indice analitico dei nomi, proprio per la natura dei contenuti e per la modalità di stesura. Ironia della sorte l’aver messo queste cose è stato motivo di attribuirmi l’intento di allungarne il brodo.
Anche certi libri, pubblicati da case editrici non hanno alcuna bibliografia: esempio “Le lacrime di Nietzsche di Irvin D.Yalom, Biblioteca Neri Pozza”.
Quando si scrive un testo scientifico (e un libro che parla di counseling psicologico, dove la psicologia è una scienza: deve essere scientifico), non si può prescindere dal tenere conto di quanto hanno detto altri autori più autorevoli riguardo ai costrutti psicologici di cui si parla, a meno che non si voglia scrivere, più che un testo scientifico, un testo di altro tipo, come appunto un testo promozionale.
Ciò che viene contestato è stato fatto in realtà ed è possibile verificarlo nelle pagine indicate poco sotto.
Mi sembra infatti più un testo per pubblicizzare i suoi corsi, che non un libro che voglia offrire un valido contributo in questo ambito.
L’autopromozione di uno psicologo è spesso trattato dai colleghi come un torto o un’infamia: comprendo che per qualcuno possa essere così, ma mi chiedo come sia possibile che 5 pagine, annullino il valore delle 195 precedenti, fatto salvo, ovviamente, non voler riversare su una recensione questioni personali. Oltre al fatto che il moralismo ha ben poco di scientifico come atteggiamento.
Scientifici, ripeto, devono essere i contenuti, non la scrittura in sé che può rispondere allo stile personale dell’autore, purché venga rispettata la patria potestà di eventuali richiami o citazioni, cosa che è stata fatta.
Tra l’altro: secondo l’articolo 35 del codice deontologico degli psicologi, lo psicologo è tenuto a indicare la fonte degli altrui contributi, cosa che lei non fa. Secondo l’articolo 5, lo psicologo può impiegare solo metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti e i riferimenti scientifici, perciò: uno psicologo nel suo esercizio non potrebbe utilizzare le informazioni trovate in questo libro, dato che, non indicando l’autrice le fonti: il testo risulta non scientifico. Inoltre: secondo l’articolo 7, lo psicologo valuta attentamente il grado di validità e attendibilità delle fonti su cui basa le conclusioni raggiunte, e anche questo comporta che uno psicologo che usa le informazioni presenti in questo libro sta violando questo articolo del codice.
Come prima: le fonti sono indicate, che si tratti di quelle giuridiche, di quelle deontologiche o quelle per autore.
Indico alcune pagine con richiami altrui da me parafrasati:
pag.5
pag.9
pag. 10 (fonti bibliografiche in corpo al testo)
pag.33
pag.48
pag.77
pag.137
pag.144
pag.150
pag.154
pag.155
pag.157
pag.158
pag.159
pag.161
pag.166
pag.177
pag.17
dunque, siccome chi vuole ha comunque modo di verificare la veridicità delle informazioni riportate, seppure con uno sforzo maggiore rispetto al ritrovarsi un riferimento bibliografico preciso con tanto di pagina, il richiamo al codice deontologico è un richiamo forzato e assolutamente inappropriato.
Mi preme ricordare, inoltre, che anche i paradigmi psicologici studiati all’università sono nutriti da concetti, assunti, costrutti, regole che guidano gli studiosi nella loro conoscenza e nella soluzione di problemi… e non pretendono di cogliere la verità o di descrivere una realtà oggettiva, altrimenti ognuno di essi si chiamerebbe DOGMA e non PARADIGMA.
Una cosa fastidiosa è che usa anche tecniche persuasorie, sul suo sito, per spingere le persone ad affrettarsi ad acquistare il testo, testualmente scrive: “suggerisco di acquistarlo prima che il prezzo si alzi”, cioè usa il principio di scarsità (vedi Influence: Science and Practice, Cialdini 2021). Un autore autorevole non credo che spingerebbe ad acquistare la sua opera per questioni di scarsità, bensì semmai per la qualità del contenuto della stessa.
Non ho mai pubblicizzato il mio libro in questo modo.
L’unica volta che ho invitato a sfruttare l’offerta era nella pagina sul corso sulla Gestione del colloquio, sul sito, per dare la possibilità agli allievi del corso stesso, che il libro lo hanno come libro di testo e quindi comunque avrebbero dovuto acquistarlo, di sfruttare l’offerta presente e pagarlo meno. L’autore di un libro non ha informazioni sulle scelte di Amazon, quindi quella voleva essere una premura per consentire loro di averlo a meno.
Mi fa piacere aver attirato così tanta attenzione, al punto da andare anche sul sito a scrutarne i contenuti. Avrei gradito che tutta questa partecipazione, data persino all’uso dei trattini e delle virgolette, fosse stata dedicata a notare anche dove si stavano prendendo certe frasi, contestualizzandole in modo opportuno, per riportarle con la stessa minuziosa attenzione.
Faccio notare che la parte editoriale (trattini, virgolette, capoverso, citazioni, bibliografia, richiesta di una precisa scrittura, ha caratterizzato la maggior parte della recensione) a scapito dei contenuti per i quali sono state riportate nella recensione informazioni non corrette, per poi esprimere in chiusura un’attribuzione arbitraria di intenti suggestivi da parte dell’autore.
Se potessi lo restituirei e chiederei il rimborso, ma dato che l’ho aperto, sfogliato e letto, non lo faccio per onestà.
Amazon mette in conto il reso anche dopo aver letto un libro. Credo che l’onestà non venga meno in tal senso. Anzi qualcuno potrebbe acquistarlo a un prezzo ridotto.
Spero comunque che questa recensione possa avere funzione di feedback che possa:
– aiutare il potenziale lettore a capire se effettivamente investire denaro e tempo nella lettura di questo libro;
– far riflettere l’autrice su una eventuale revisione del testo, o su una scrittura più scientifica per i suoi prossimi lavori.
Ci rifletterò certamente.
Con questa risposta, di contro, invito i colleghi, anche quelli che ci tengono alla cura del dettaglio, di applicare la stessa minuziosa attenzione ai propri contenuti, quelli che portano a sostegno delle proprie posizioni: le scelte da me operate, così come eventuali sviste nella stesura del testo non arrecano danno a nessuno. Al contrario, le sviste, le imprecisioni e la disinformazione passate come verità, possono danneggiare il lavoro altrui; la nostra categoria ha una tradizione lunga 30 anni di disinformazione, pareri personali passate per verità e informazioni non verificate. Cambia il contenuto, ma l’atteggiamento resta lo stesso.
L’invito è verificare sempre quindi che ciò che si sta asserendo sia vero, altrimenti astenersi e limitarsi a pareri personali, cosa che una recensione consente.
Inoltre, sottolineo che ostacolare il pensiero critico è un atteggiamento tipico dei regimi totalitari: vediamo di non ridurre la scienza allo stesso riduzionismo, a scapito della complessità dei processi con i quali ci confrontiamo e che richiedono ANCHE una posizione filosofica e fenomenologico-esistenziale, per la quale non c’è alcunché da dimostrare, visto che esprime un punto di partenza.
I libri tanto ricercati in bibliografia da alcune recensioni devono essere letti per imparare a pensare, a ragionare, a stimolare le riflessioni, ad ampliare la visione del mondo, prima che a sapere.
Se ci fossimo sempre fermati solo a quanto hanno avuto da dire fonti autorevoli venute prima di noi o i manuali blasonati, saremo fermi a Freud, avremo ancora l’omosessualità nel DSM, nessuno avrebbe dovuto nominare il burnout prima di quest’anno.
Ricordiamoci che questa disciplina evolve grazie a chi si permette di riflettere su ciò che studia, che osserva e di cui ha esperienza, permettendosi di ragionare, se occorre, anche fuori dagli schemi.
Francesca Di Donato
La parola somministrare derivata dal latino SUBMINISTRĀRE (SUB- ‘sotto’ e MINISTRĀRE ‘porgere’)
Nei dizionari di uso contemporaneo, il significato primario è quello di “dare, distribuire ad altri, adempiendo un proprio ufficio specifico o a un compito particolare” Vocabolario Treccani online e GRADIT).
In tal senso:
I sacerdoti somministrano i sacramenti;
Gli infermieri somministrano farmaci
Le istituzioni o associazioni somministrano aiuti, viveri e simili.
Parliamo di un ‘porgere’, un ‘dare’ che implica una qualche asimmetria di poteri, di saperi, di doveri coinvolti nel rapporto fra chi dà e chi riceve.
Nella terapia psicologica (sia essa sostegno, abilitazione-riabilitazione, prevenzione o psicoterapia) certamente c’è un’asimmetria relazionale, tuttavia il soggetto che usufruisce della prestazione non è un soggetto passivo che viene sottoposto a un trattamento, ma è parte attiva di un percorso che è prevalentemente di natura relazionale e che muove in una co-costruzione costante che lo vede come protagonista: le risorse primarie a cui attingere, in tutto il processo di crescita personale e/o cambiamento, sono nella persona stessa.
Quindi il termine somministrazione non è in tal senso il termine più appropriato e, anzi, all’interno di questo tipo di relazione terapeutica -come sottolinea Luca Serianni in una risposta pubblicata sul n. 37 (https://accademiadellacrusca.it/it/pubblicazioni/crusca-per-voi/indice-dei-numeri/ottobre-2008) della “Crusca per voi” (ottobre 2008, p. 12)- l’uso della parola “somministrare” da parte di psicologi e sociologi, in riferimento a eventuali test e/o questionari (che sono strumenti e non terapie) è un tipico “tecnicismo collaterale” ovvero un termine che non viene usato per ragioni di precisione o rigore, ma per dare al discorso una connotazione tecnica.
Ne consegue che l’uso del termine “somministrazione” non è necessario neanche in tal caso, figuriamoci per esprimere la natura primaria del lavoro dello psicologo, che certamente non è equiparabile all’atto di somministrare una terapia medica (tra l’altro, preciso che la somministrazione farmacologica nel mondo medico è a carico dell’infermiere, mentre la prescrizione della stessa è a carico del medico).
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La difficoltà ad assumere dei rischi, processo inevitabile se si vuole evolvere in qualunque ambito della vita, è spesso legata all’erronea convinzione che rischio equivalga a pericolo e di conseguenza a danno.
Rischio e pericolo però non sono sinonimi.
Il pericolo indica qualcosa che, per le sue proprietà o caratteristiche, ha la capacità di causare un danno.
Il rischio è la probabilità che si verifichi un danno, in base all’esposizione a tale pericolo.
Il RISCHIO, quindi, è la probabilità, e non la certezza che ci possa accadere un evento sgradevole.
La nozione di rischio implica l’esistenza di una sorgente di pericolo, la presenza di elementi vulnerabili esposti e la possibilità che essa si trasformi in un danno.
Detto matematicamente, l’equazione del rischio è:
R = P x V x E —- R (Rischio) = P (Pericolosità) x V (Vulnerabilità) x E (esposizione).
La Pericolosità è la probabilità che un certo evento possa accadere.
La Vulnerabilità esprime la nostra capacità di resistere al danno
Essa è scomponibile in due parametri:
. la suscettibilità intesa come propensione a subire un certo danno e .
. la resilienza intesa come capacità di far fronte all’evento e ripristinare le condizioni di
funzionalità precedenti
L’ Esposizione indica quante disposizioni interne ed esterne sono esposti al pericolo.
Detto matematicamente, l’equazione del danno è:
D = V x E —- V (Vulnerabilità) x E (esposizione)
Le conseguenze di un pericolo, perciò, si trasformano in danno, solo in relazione al prodotto della vulnerabilità per il grado di esposizione.
Ne consegue che, se già di per sé l’esposizione a un pericolo non necessariamente generi il danno, a maggior ragione assumersi dei rischi non vuol dire che portino inevitabilmente a un danno.
La questione è tutta nel saper valutare l’entità del rischio e, date certe condizioni, valutare quanto esso sia realistico, se e a quale livello possa agire, così da attivare abilità presenti e acquisirne di nuove, sviluppando strategie per evitarlo o ridurlo e, in tal modo, contenere l’esposizione al pericolo, salvaguardando e riducendo, nel mentre, la propria vulnerabilità: tutto questo non è altro che valutazione, prevenzione -primaria, secondaria e terziaria- e abilitazione-riabilitazione nutrite di supporto psicologico.
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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute – percorsi individuali, di coppia e in gruppo: in presenza e online
Formatore e Supervisore: in presenza e online – SCUOLA DI PSICOLOGIA lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi