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4 anni ago · · 0 comments

Il pesciolino

Un pesciolino cercava l’oceano e chiedeva informazioni a chiunque incontrasse.
“Scusate” diceva. “Sto cercando l’oceano, sapete dirmi dove posso trovarlo?”
Ma pareva che nessuno lo sapesse.
Finalmente un giorno incontrò un pesce più anziano e saggio che gli rispose: “Certo che lo so dov’è l’oceano”. “Dove, dove?” Chiese ansiosamente il pesciolino. “ Ma non vedi? L’oceano è qui, intorno a te. Ci stai nuotando dentro.” Ma la risposta non convinse il pesciolino: ”Questo non è l’oceano. È solo acqua” Disse fra sé, e nuotò in un’altra direzione alla ricerca di una diversa, più soddisfacente risposta.

Il pesciolino

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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute – percorsi individuali, di coppia e in gruppo: in presenza e online
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4 anni ago · · 0 comments

La ragazza

Una volta Tanzan ed Ekido camminavano insieme per una strada fangosa. Pioveva a dirotto.
Dopo una curva incontrarono una bella ragazza, in chimono e sciarpa di seta, che non poteva attraversare la strada. “Vieni ragazza” disse subito Tanzan.
Poi la prese in braccio e la portò oltre le pozzanghere. Eikido non disse nulla finché quella sera non ebbero raggiunto un tempio dove passare la notte.
Allora non poté più trattenersi: “Noi monaci non avviciniamo le donne” disse a Tanzan “e meno che meno quelle giovani e carine. È pericoloso. Perché lo hai fatto?” “Io quella ragazza l’ ho lasciata laggiù” disse Tanzan. “Tu la stai ancora portando con te?”

La ragazza

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Francesca Di Donato – Psicologa
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4 anni ago · · 0 comments

L’illuminazione è dentro di te

Daiju fece visita al maestro Baso in Cina.
Baso domandò: “Che cosa cerchi?”.
– “L’illuminazione” rispose Daiju.
– “Tu hai la tua stanza del tesoro. Perché vai in giro a cercare?” domandò Baso.
Daiju domandò: “Dov’è la mia stanza del tesoro?”.
Baso rispose: “Quello che stai domandando è la tua stanza del tesoro”.
Daiju fu illuminato! Da quel momento, esortava sempre i suoi amici: “Aprite la vostra stanza del tesoro ed utilizzate quei tesori”.

L’illuminazione è dentro di te

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Francesca Di Donato – Psicologa
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4 anni ago · · 0 comments

Una tazza di cioccolato caldo

Un gruppo di laureati, affermati nelle loro carriere, discutevano sulle loro vite durante una riunione. Decisero di fare visita al loro vecchio professore universitario, ora in pensione, che era sempre stato un punto di riferimento per loro.

Durante la visita si lamentarono dello stress che dominava la loro vita, il loro lavoro e le relazioni sociali.

Volendo offrire ai suoi ospiti un cioccolato caldo, il professore andò in cucina e ritornò con una grande brocca e un assortimento di tazze.
Alcune di porcellana, altre di vetro, di cristallo, alcune semplici, altre costose, altre di squisita fattura.
Il professore li invitò a servirsi da soli il cioccolato.

Quando tutti ebbero in mano la tazza con il cioccolato caldo il professore espose le sue considerazioni.
“Noto che son state prese tutte le tazze più belle e costose, mentre son state lasciate sul tavolino quelle di poco valore. La causa dei vostri problemi e dello stress è che per voi è normale volere sempre il meglio. La tazza da cui state bevendo non aggiunge nulla alla qualità del cioccolato caldo. In alcuni casi la tazza è molto bella mentre alcune altre nascondono anche quello che bevete. Quello che ognuno di voi voleva in realtà era il cioccolato caldo. Voi non volevate la tazza. Ma voi consapevolmente avete scelto le tazze migliori. E subito, avete cominciato a guardare le tazze degli altri.
Ora amici vi prego di ascoltarmi.
La vita è il cioccolato caldo. il vostro lavoro, il denaro, la posizione nella società sono le tazze. Le tazze sono solo contenitori per accogliere e contenere la vita. La tazza che avete non determina la vita, non cambia la qualità della vita che state vivendo. Qualche volta, concentrandovi solo sulla tazza, voi non riuscite ad apprezzare il cioccolato caldo.
Ricordatevi sempre questo: la persona più felice non ha il meglio di ogni cosa, ma apprezza il meglio di ogni cosa che ha!

Una tazza di cioccolato caldo

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4 anni ago · · 0 comments

Camminare con le proprie gambe

lI re cadde da cavallo, fratturandosi le gambe così gravemente da perderne l’uso. Imparò dunque a muoversi con le stampelle, ma sopportava male la propria invalidità.

Vedersi attorno le persone valide della corte gli divenne presto insopportabile tutto ciò e gli guastò l’umore.
Rifiutò di mostrarsi menomato. “Poiché non posso essere simile agli altri -pensò un mattino d’estate- ciascuno sarà simile a me.”
Fece dunque notificare nelle sue città e nei suoi paesi l’ordine definitivo dell’uso delle stampelle per tutti, pena la morte immediata.
Dall’oggi al domani, l’intero regno fu popolato di persone rese invalide.

All’inizio, alcuni provocatori si fecero vedere in giro senza alcun sostegno.
Fu certo difficile acciuffarli di corsa, ma tutti prima o poi vennero arrestati, condannati e giustiziati per servire da esempio.
Nessuno osò ripetere la provocazione.
Per proteggere la prole, le madri insegnarono subito ai loro bambini a camminare con le stampelle.
Bisognava abituarsi, ci si abituò.

Il re visse fino a tarda età. Nacquero parecchie generazioni senza che si vedesse mai nessuno circolare liberamente sulle sue gambe.
Gli anziani scomparvero senza dire nulla delle loro lontane passeggiate, senza osare infondere nella mente dei figli e dei nipoti il pericoloso desiderio di deambulare senza sostegni.

Alla morte del re, alcuni vecchi tentarono di liberarsi delle stampelle, ma era troppo tardi, i loro corpi malandati ne avevano ormai bisogno.
I superstiti, di solito, non riuscivano più a stare dritti. Rimanevano prostrati su qualche sedia o distesi su un letto.
Questi tentativi isolati vennero considerati come innocui deliri di vecchi rimbambiti.
Inutilmente raccontarono che un tempo si camminava liberamente, senza stampelle: vennero guardati dall’alto verso il basso, con l’indulgenza ilare concessa ai rimbecilliti. “Ma sì, nonno, andiamo, era senza dubbio ai tempi in cui il becco dei polli aveva i denti!” E con un sorriso in tralice, uno scambio di occhiate, scrollavano il capo ascoltando la vecchia voce, prima di andare a ridere di nascosto.

Lontano, lassù sulla montagna viveva un vigoroso vecchio solitario che, appena morto il re, gettò le stampelle nel fuoco senza esitare. In realtà erano anni che non usava le stampelle in casa o in luoghi isolati. Le usava nel villaggio per evitare le noie ma, non avendo né sposa né figli, non si era privato del piacere della sua bella camminata. Non esponeva altri che se stesso e per di più in tutta segretezza!
Il mattino dopo, si recò spavaldamente in piazza e, rivolto ai suoi compaesani sbalorditi, disse: “Ascoltatemi, dobbiamo ritrovare la nostra libertà di movimento! La vita può riprendere il suo corso naturale poiché il re invalido è ormai morto. Chiediamo che venga abrogata la legge che costringeva gli esseri umani a camminare con le stampelle!”

Tutti lo guardavano, i più giovani furono immediatamente tentati.

La piazza brulicò ben presto di bambini, di adolescenti e di altri sportivi che tentavano di muoversi senza stampelle.

Ci furono risate, cadute, scorticature, lividi, ma anche arti rotti poiché i muscoli delle gambe e della schiena non avevano mai imparato a sorreggere il corpo.

Il capo della polizia intervenne: “Smettetela, smettetela! È troppo pericoloso. Tu, vecchio, va a esibirti nelle fiere, è chiaro che gli uomini non sono fatti per camminare senza stampelle! Guarda quante piaghe, quanti bernoccoli e quante fratture ha provocato la tua follia! Lasciaci vivere normalmente. Sparisci e, se vuoi vivere tranquillo, non tentare più di traviare questa bella gioventù!”

Il vecchio alzò le spalle e se ne tornò a casa a piedi. Scesa la notte, udì grattare piano alla sua porta.

Era un rumore così leggero che lo attribuì a un ramo agitato dal vento. Non aprì. Allora qualcuno bussò distintamente alla porta. “Chi siete? Che cosa volete?” chiese. “Apri nonno, per favore” bisbigliò una voce.” Il vecchio aprì.

Dieci paia di occhi brillanti lo guardavano con ardore. Un ragazzino, fattosi avanti, mormorò: “Vogliamo imparare a camminare come te.
Accetteresti di prenderci come discepoli?”
– “Discepoli?”
– “Maestro è questo il nostro desiderio.”
– “Bambini, non sono un maestro, sono solo un uomo in gamba, nel senso più semplice della parola.”
– “Maestro, per favore, supplicarono all’unisono.”
Il vecchio ebbe voglia di ridere, ma, contemplandoli un attimo, si commosse.
Capì che la faccenda era seria, persino capitale, che quei bambini erano coraggiosi, ardenti, pieni di vita.

L’avvenire era nelle loro mani.

Spalancò la porta per accoglierli. Per mesi, senza dire niente a nessuno, i ragazzini si recarono dal vecchio da soli o in due alla volta per non dare nell’occhio.

Quando furono abbastanza abili, andarono a piedi, insieme al villaggio. Guardate, dissero, osservateci, è facile e divertente! Fate dunque come noi! Un’ondata di panico invase i cuori timorosi.

Gli abitanti del villaggio aggrottarono le sopracciglia, li additarono, si spaventarono molto.

Intervenne la polizia a cavallo per far cessare lo scandalo.

Il vecchio fu arrestato, portato in tribunale, condannato secondo l’editto reale e giustiziato per aver pervertito dieci innocenti.

I suoi discepoli, disgustati dal trattamento inflitto al loro maestro, dichiararono a gran voce sulle piazze che camminavano e ne erano soddisfatti, mostrando a chi volesse vederli quanto fosse comodo avere le mani libere e le mani leste.

Le loro dimostrazioni vennero giudicate fallaci.
Furono arrestati e gettati in prigione.
Si ritenne tuttavia che fossero stati trascinati nell’errore e si concessero loro le circostanze attenuanti, quindi furono condannati solo a pene leggere.
Alcuni ostinati non vollero rinunciare a sostenere che bisognasse camminare senza stampelle.

La comunità inquieta, sconvolta nelle proprie abitudini dal loro strano comportamento, li allontanò per prudenza dal villaggio, invitandoli a esibirsi nelle fiere.

Per coloro che erano rimasti e che insistevano davvero in modo eccessivo, si dovette talvolta applicare con rigore la legge; in generale, tuttavia, vennero piuttosto commiserati e trattati come gli scemi del villaggio, tenuti a distanza dai bambini o dalle buone famiglie.

Ancora oggi, durante le veglie serali, si bisbiglia con parole velate che esistono malgrado tutto, qua e là nel mondo, gruppetti che non sembrano dei mentecatti e che sostengono di camminare da soli, senza stampelle. Impossibile da verificare.

Si insegna ai bambini che son solo favole.

Camminare con le proprie gambe

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Come una matita

Il bambino guardava la nonna che stava scrivendo la lettera. A un certo punto, le domandò: “Stai scrivendo una storia che è capitata a noi? E che magari parla di me!” La nonna interruppe la scrittura, sorrise e disse al nipote: “È vero, sto scrivendo qualcosa di te. Tuttavia, più importante delle parole, è la matita con la quale scrivo. Vorrei che la usassi tu, quando sarai cresciuto.”

Incuriosito, il bimbo guardò la matita, senza trovarvi alcunché di speciale: “Ma è uguale a tutte le altre matite che ho visto nella mia vita!”.
– “Dipende tutto dal modo in cui guardi le cose. Questa matita possiede cinque qualità: se riuscirai a trasporle nell’esistenza sarai sempre una persona in pace col mondo.”

“Prima qualità: puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una Mano che guida i tuoi passi. ‘Dio: ecco come chiamiamo questa mano! Egli deve condurti sempre verso la Sua volontà.”

“Seconda qualità, di tanto in tanto, devo interrompere la scrittura e usare il temperino. È un’azione che provoca una certa sofferenza alla matita ma, alla fine, essa risulta più appuntita. Ecco perché devi imparare a sopportare alcuni dolori: ti faranno diventare un uomo migliore.”

“Terza qualità: il tratto della matita ci permette di usare una gomma per cancellare ciò che è sbagliato. Correggere un’azione o un comportamento non è necessariamente qualcosa di negativo: anzi, è importante per riuscire a mantenere la retta via della giustizia.”

“Quarta qualità: ciò che è realmente importante nella matita non è il legno o la sua forma esteriore, bensì la grafite della mina racchiusa in essa. Dunque, presta sempre attenzione a quello che accade dentro te.”

“Ecco la quinta qualità della matita: essa lascia sempre un segno. Allo stesso modo, tutto ciò che farai nella vita lascerà una traccia: di conseguenza impegnati per avere piena coscienza di ogni tua azione.”

Come una matita

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4 anni ago · · 0 comments

Il seme di Kaori

C’era una volta in Cina un principe che non aveva ancora trovato moglie. Il padre era preoccupato: “quando morirò tu dovrai diventare imperatore, ma lo diventerai solo se sarai sposato. È così che stabilisce la legge, perciò, figlio mio, trova moglie.”

Il principe seguì il consiglio di un saggio e decise di radunare a palazzo tutte le fanciulle del suo regno. “La più degna colpirà il mio cuore e diventerà mia sposa” ripeteva tra sé e sé il principe.

Il giorno stabilito si presentarono a palazzo le più belle e affascinanti fanciulle del regno, avvolte in abiti ricchi e luccicanti.

Tra loro c’era anche la figlia di una serva del re, Kaori, che non era bella. Non era neanche ricca. La madre aveva cercato inutilmente di trattenerla a casa: “non andare, il principe non ti degnerà di uno sguardo, non puoi competere accanto alle altre.”

Kaori era stata irremovibile: “andrò a palazzo madre. So che non potrei mai essere io la prescelta, ma avrò almeno la gioia di avvicinarmi per un attimo al principe.”

Il principe annunciò la sua sfida: “benvenute, voi tutte. A ciascuna di voi darò un seme, e colei che fra sei mesi mi porterà il fiore più bello diventerà mia sposa, la futura imperatrice.”

Kaori prese il suo seme e appena tornata a casa, lo piantò in un grande vaso di argilla. Ogni giorno gli portava acqua, si assicurava che non patisse il freddo, che non assorbisse troppa umidità, che i raggi del sole non lo colpissero direttamente e troppo a lungo. La madre, guardando la sua perseveranza, pensava: “il principe dovrebbe sposare lei, per la grandezza del suo amore paziente.”

Dopo un mese dalla terra del vaso di terracotta non era spuntato alcun germoglio. Nulla. Kaori consultò anziani giardinieri, applicò i loro consigli. Non crebbe nulla. Dopo sei mesi il seme non era cresciuto. Niente. Neanche una minuscola fogliolina.

Arrivato il giorno dell’udienza dal principe, Kaori decise di portargli ugualmente il suo vaso, come segno del suo amore paziente. “Figlia mia, non andare. Le ripeteva la madre fin dall’alba. Come credi che reagirà il principe, vedendo un vaso vuoto?”

Giunta a palazzo, Kaori si mise in fila dietro a centinaia di giovani donne che tenevano tra le mani fiori bellissimi, stupendi, dai profumi inebrianti. Il principe ammirava ogni fiore che passava davanti a lui.

Quando le si presentò davanti Kaori, il principe scrutò il vaso colmo solo di terra con grande attenzione. Dopo di lei sfilarono altre fanciulle, tutte orgogliose dei loro magnifici fiori. Alla fine il principe si alzò dal trono e annunciò la sua decisione: “mia sposa diverrà quella giovane donna che tiene il vaso di terracotta da cui non è cresciuto alcun fiore.”

Le altre reagirono stupite: “ma come? Non è giusto. Che decisione è questa?”

Il principe le fece tacere con un cenno della mano e spiegò: “quella donna è l’unica che ha saputo far crescere il fiore dell’onestà. È degna di diventare imperatrice. I semi che vi ho dato erano senza vita, sterili; non avrebbe mai potuto crescere nulla da quei semi.”

Kaori e il principe si sposarono il primo giorno di primavera e la loro vita insieme fu felice.

Il seme di Kaori

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Il segreto della felicità

Un mercante, una volta, mandò il figlio ad apprendere il segreto della felicità dal più saggio di tutti gli uomini.
Il ragazzo vagò per quaranta giorni nel deserto, finché giunse a un meraviglioso castello in cima a una montagna.
Là viveva il saggio che il ragazzo cercava.
Invece di trovare un sant’uomo, però, il nostro eroe entrò in una sala dove regnava un’attività frenetica: mercanti che entravano e uscivano, ovunque gruppetti che parlavano, una orchestrina che suonava dolci melodie.
E c’era una tavola imbandita con i più deliziosi piatti di quella regione del mondo.

Il saggio parlava con tutti, e il ragazzo dovette attendere due ore prima che arrivasse il suo turno per essere ricevuto.
Il saggio ascoltò attentamente il motivo della visita, ma disse al ragazzo che in quel momento non aveva tempo per spiegargli il segreto della felicità.
Gli suggerì di fare un giro per il palazzo e di tornare dopo due ore; “Nel frattempo, voglio chiederti un favore -concluse il saggio, consegnandogli un cucchiaino da tè su cui versò due gocce d’olio- mentre cammini, porta questo cucchiaino senza versare l’olio.”

Il ragazzo cominciò a salire e scendere le scalinate del palazzo, sempre tenendo gli occhi fissi sul cucchiaino. In capo a due ore, ritornò al cospetto del saggio: “Allora -gli domandò questi- hai visto gli arazzi della Persia che si trovano nella mia sala da pranzo? Hai visto i giardini che il Maestro dei giardinieri ha impiegato dieci anni a creare? Hai notato le belle pergamene della mia biblioteca?”
Il ragazzo, vergognandosi, confessò di non avere visto niente. La sua unica preoccupazione era stata quella di non versare le gocce d’olio che il saggio gli aveva affidato.
“Ebbene, allora torna indietro e guarda le meraviglie del mio mondo” disse il saggio. “Non puoi fidarti di un uomo se non conosci la sua casa.”

Tranquillizzato, il ragazzo prese il cucchiaino e di nuovo si mise a passeggiare per il palazzo, questa volta osservando tutte le opere d’arte appese al soffitto e alle pareti. Notò i giardini, le montagne circostanti, la delicatezza dei fiori, la raffinatezza con cui ogni opera d’arte era disposta al proprio posto.
Di ritorno al cospetto del saggio, riferì particolareggiatamente su tutto quello che aveva visto.

“Ma dove sono le due gocce d’olio che ti ho affidato?” domandò il saggio.
Guardando il cucchiaino, il ragazzo si accorse di averle versate.
“Ebbene, questo è l’unico consiglio che ho da darti”, concluse il più saggio dei saggi.
“Il segreto della felicità consiste nel guardare tutte le meraviglie del mondo, senza dimenticare le due gocce d’olio nel cucchiaino.”

Storia tratta dall’Alchimista di Paulo Coelho.

Il segreto della felicità
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Il cavallo e il fiume – Fiaba orientale

Un cavallino viveva nella stalla con la madre e non era mai uscito di casa, né si era mai allontanato dal suo fianco protettivo.
Un giorno la madre gli disse: “è ora che tu esca e che impari a fare piccole commissioni per me. Porta questo sacchetto di grano al mulino!”
Con il sacco sulla groppa, contento di rendersi utile, il puledro si mise a galoppare verso il mulino.
Ma dopo un po’ incontrò sul suo cammino un fiume gonfio d’acqua che fluiva gorgogliando. “Che cosa devo fare? Potrò attraversare?” Si fermò incerto sulla riva.
Non sapeva a chi chiedere consiglio. Si guardò intorno e vide un vecchio bue che brucava lì accanto.
Il cavallino si avvicinò e gli chiese: “Zio, posso attraversare il fiume?”
– “Certo, l’acqua non è profonda, mi arriva appena al ginocchio, vai tranquillo”.

Il cavallino si mise a galoppare verso il fiume, ma quando stava proprio sulla riva in procinto di attraversare, uno scoiattolo gli si avvicinò saltellando e gli disse tutto agitato: “Non passare, non passare! È pericoloso, rischi di annegare!”
– “Ma il fiume è così profondo?” chiese il cavallino confuso.
– “Certo, un amico ieri è annegato” raccontò lo scoiattolo con voce mesta.

Il cavallino non sapeva più a chi credere e decise di tornare a casa per chiedere consiglio alla madre: “Sono tornato perché l’acqua è molto profonda” disse imbarazzato “non posso attraversare il fiume”.
“Sei sicuro? Io penso invece che l’acqua sia poco profonda” replicò la madre. “È quello che mi ha detto il vecchio bue, ma lo scoiattolo insiste nel dire che il fiume è pericoloso e che ieri è annegato un suo amico”.
– “Allora l’acqua è profonda o poco profonda? Prova a pensarci con la tua testa”.
– “Veramente non ci ho pensato”.
– “Figlio mio, non devi ascoltare i consigli senza riflettere con la tua testa. Puoi arrivarci da solo. Il bue è grande e grosso e pensa naturalmente che il fiume sia poco profondo, mentre lo scoiattolo è così piccolo che può annegare anche in una pozzanghera e pensa che sia molto profondo”.

Dopo aver ascoltato le parole della madre, il cavallino si mise a galoppare verso il fiume sicuro di sé.
Quando lo scoiattolo lo vide con le zampe ormai dentro il fiume gli gridò: “Allora hai deciso di annegare?”
– “Voglio provare ad attraversare”.

E il cavallino scoprì che l’acqua del fiume non era né poco profonda come aveva detto il bue, né troppo profonda come aveva detto lo scoiattolo.

Il cavallo e il fiume

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Un bambino e le stelle marine

Una tempesta terribile si abbatté sul mare. Lame affilate di vento gelido trafiggevano l’acqua e la sollevavano in ondate gigantesche che si abbattevano sulla spiaggia come colpi di maglio, o come vomeri d’acciaio aravano il fondo marino scaraventando le piccole bestiole del fondo, i crostacei e i piccoli molluschi, a decine di metri dal bordo del mare.
Quando la tempesta passò, rapida come era arrivata, l’acqua si placò e si ritirò. Ora la spiaggia era una distesa di fango in cui si contorcevano nell’agonia migliaia e migliaia di stelle marine. Erano tante che la spiaggia sembrava colorata di rosa.

Il fenomeno richiamò molta gente da tutte le parti della costa.  Le stelle marine erano quasi immobili. Stavano morendo. Tra la gente, tenuto per mano dal papà, c’era anche un bambino che fissava con gli occhi pieni di tristezza le piccole stelle di mare. Tutti stavano a guardare e nessuno faceva niente.

All’improvviso, il bambino lasciò la mano del papà, si tolse le scarpe e le calze e corse sulla spiaggia. Si chinò, raccolse con le piccole mani tre stelle del mare e, sempre correndo, le portò nell’acqua. Poi tornò indietro e ripeté l’operazione.

Dalla balaustrata di cemento, un uomo lo chiamò. “Ma che fai, ragazzino?”
– “Ributto in mare le stelle marine. Altrimenti muoiono tutte sulla spiaggia” rispose il bambino senza smettere di correre.
– “Ma ci sono migliaia di stelle marine su questa spiaggia: non puoi certo salvarle tutte. Sono troppe!” gridò l’uomo. “E questo succede su centinaia di altre spiagge lungo la costa! Non puoi cambiare le cose!”
Il bambino sorrise, si chinò a raccogliere un’altra stella di mare e gettandola in acqua rispose: “Ho cambiato le cose per questa qui”.
L’uomo rimase un attimo in silenzio, poi si chinò, si tolse scarpe e calze e scese in spiaggia. Cominciò a raccogliere stelle marine e a buttarle in acqua. Un istante dopo scesero due ragazze ed erano in quattro a buttare stelle marine nell’acqua. Qualche minuto dopo erano in cinquanta, poi cento, duecento, migliaia di persone che buttavano stelle di mare nell’acqua.
Così furono salvate tutte.

Qual è la morale della storia?

Un bambino e le stelle marine
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