4 anni ago · Francesca Di Donato - Psicologa · 0 comments
RIflessioni su Psicologia e scientificità s.s.
La questione metodo-epistemologica della scientificità della Psicologia è argomento aperto e tutt’altro che risolto e fortemente legato al riconoscimento di un costrutto, di un assunto, di una teoria… da parte della comunità professionale in questione.
Troppo a lungo la questione “efficacia” in psicologia è stata studiata con il medesimo modello medico, che non è il nostro, e prima o poi dobbiamo capirlo e farcene una ragione.
Siamo ancorati troppo spesso all’idea che siccome esistono dei protocolli d’intervento psicologico allora siamo legittimati a dire che il nostro lavoro deve essere fondato sulle evidenze e solo su quelle.
Tuttavia nella vita reale una metodologia simile, chiaramente di emulazione medica, non risponde alle necessità della nostra professione, salvo forzare inverosimilmente le cose.
A chi sostiene non ci siano dubbi sul fatto che i nostri comportamenti -sia consci, sia inconsci- e che le nostre interazioni con l’ambiente -animato e/o inanimato che sia- dipendano dal funzionamento del cervello, per coerenza con il trasporto che mostrano per tutto ciò che è basato sull’evidenza, chiedo anche solo una prova empirica di una direzione causale che va dal funzionamento del cervello al comportamento/esperienza. Perché, a oggi, al massimo, mi sembra che si possa fare affidamento su correlazioni aspecifiche e non rapporti causali diretti.
Sorge in me il dubbio che alcuni Psicologi avrebbero, piuttosto, voluto fare i Medici-psichiatri e si siano poi ritrovati a praticare la professione sbagliata o stiano cercando un disperato compromesso tra istanze interiori contrapposte, plasmando la realtà al di fuori di loro stessi, invece di rivolgere lo sguardo dentro loro stessi.
In quanto Psicologi, forti di un’identità umanistico-fenomenologico-esistenziale dovremmo offrire un panorama alternativo a quello medico e ancor più nello specifico a quello psichiatrico e, in tal, modo fare la differenza.
Quando non si sta parlando di ricerca o di statistica in psicologia, ma di terapia psicologica, l’epistemologia che seguiamo non è quella medica o quella empirica strictu sensu e non può esserlo se non a scapito di buona parte del vissuto umano.
La psicologia è quel frammento di esperienza umana nella quale si incontrano “oggetti” ed “eventi” -che sono il prodotto delle attività psichiche della persona che ne è portatore- e i costrutti e le teorie di chi le osserva: ci si confronta con asserti la cui validità non è sempre riconducibile alle spiegazioni della logica o della pratica basata sulle evidenze.
La Psicologia dovrebbe, quindi, abbracciare la filosofia, l’antropologia, l’arte, la poesia, la letteratura, il mondo alchemico… ricordando che -solo per non dimenticare le nostre radici- la più arcaica forma di cura è nella figura dello sciamano che vede riflesse le prime manifestazioni/interventi di ordine psichico (spirituale e psicosomatico). Altresì, la Psicologia dovrebbe abbracciare certamente anche le neuroscienze, proprio perché per sua stessa natura ha il potere di arricchirsi di TUTTA l’esperienza umana, dunque anche quella neuroscientifica; tuttavia, arricchirsi di qualcosa non vuol dire diventare quella cosa: la psicologia è qualcosa di più della semplice somma delle discipline di cui si nutre.
E mentre si lavora affinché le persone diventino loro stesse, assolvendo alla loro vera natura, in modo assolutamente contraddittorio e incongruente, molti vogliono alterare l’identità della professione che rappresentano, invece di farla essere ciò che essa è.
Quindi la domanda è “chi ha scelto Psicologia, sa davvero di cosa ha scelto di occuparsi?”
Una considerazione aggiuntiva: la nostra legge ordinistica è frutto di un compromesso con i medici, che volevano continuare a fare quello che già facevano prima che venisse istituita la nostra professione (cioè occuparsi di psicologia; infatti, la psicoterapia non è un atto tipico a sé, ma il prodotto giuridico di tale compromesso) e ciò a comportato:
– una rincorsa al modello medico fronte politico (la nostra legge ordinistica porta il nome di uno psichiatra e vedi oggi la rincorsa allo Psicologo di base/delle cure primarie),
– una rincorsa al modello medico sul fronte operazionale (vedi la visione tutta orientata alla patogenesi e alle etichette diagnostiche)
– all’uso di terminologie mediche (anamnesi, pazienti…),
– a termini di paragone -peraltro sbagliati- con i medici (ad es. quelli sulla specializzazione)
– a categorie diagnostiche ti tipo medico-psichiatrico (vedi DSM)
Probabilmente questo scimmiottamento del modello medico si nutre di questo aspetto più di quanto si possa immaginare, pagando così lo scotto di una identità professionale precaria, di cui si ha ben poca consapevolezza.
Gli Psicologi sono, a oggi, quella categoria di professionisti che, per valorizzare il proprio ruolo, hanno dimenticato le loro radici e di essere professionisti della relazione, bramando di diventare come i medici, i quali la relazione con il paziente l’hanno abdigata a livelli di iterazione fortemente up-down, che spesso rilega la persona in un ruolo di passività.
Inoltre, per concludere questa riflessione, mi preme ricordare che i paradigmi psicologici sono nutriti da concetti, assunti, costrutti, regole che guidano gli studiosi nella loro conoscenza e nella soluzione di problemi… e non pretendono di cogliere la verità o di descrivere una realtà oggettiva, altrimenti ognuno di essi si chiamerebbe DOGMA e non PARADIGMA.
E spesso si dimentica che anche la significatività statistica a cui spesso si fa riferimento poggia su un accordo comunitario e non su assiomi o su leggi di natura.
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Francesca Di Donato – Psicologa
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