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11 mesi ago · · 0 comments

I social dell’invidia e della persecuzione

A quanto pare scorre un filo fin troppo sottile tra la rabbia legittima per un comportamento sbagliato di qualcuno e l’accanimento -esasperato dal più o meno consapevole attacco di massa- contro una persona resa bersaglio del proprio scherno e del proprio atteggiamento persecutorio, che sia esplicito o mascherato da sordida ironia.
E la parte tragica è che voi che vi elevate a giudici e giuria di quel comportamento, vi sentite perfino migliori della persona in ostaggio di turno.
Oh sì che vi sentite migliori!
L’altro ieri contro chi ha osato negare un autografo, ieri contro il padre di una ragazza uccisa che invece di piegarsi dal dolore come vorreste vederlo, va in tv a farsi intervistare, oggi contro chi vende pandori per balocchi o chi prova a vendere qualche pizza in più.
Adesso sì che potete riconoscervi il diritto di erigervi sopra un piedistallo e sentirvi superiori.
Finalmente l’avete trovata la crepa che cercavate nell’altro, e potete sadicamente infilarci il dito finché non sentite venirne fuori le urla del dolore.
E pure voi che fate post o video sulla comunicazione usata nel video di scuse della Ferragni, non siete per nulla diversi da lei: strumentalizzate l’hype del momento e quanto è accaduto solo per ottenere fiotti di like e visualizzazioni dei vostri contenuti.
Lei ha fatto beneficienza sui pandori, quanto voi fate divulgazione con i vostri contenuti su di lei.

Auguratevi solo di non essere mai voi come una Mia Martini, come un Marco Masini o un De Donno, come un Giulio Cecchettin, come un’ Alessandra Amoroso, come una Ferragni o come una Giovanna Pedretti, perché quelli che come voi puntano facilmente il dito alla prima falla, che ci sia davvero o che sia inventata, e che ci mangiano sopra alla prima occasione, vi riserveranno lo stesso trattamento, senza indugi e senza riserve.

Io resto con il mio orrore.

1 anno ago · · 0 comments

Cosa voglio fare da grande

“Cosa voglio fare da grande” è la riflessione che si mobiliterà probabilmente in ogni fase pressoché consapevole della vita, in ogni passo significativamente evolutivo, ad ogni avvicinamento autentico verso le proprie profonde disposizioni, in ogni barlume di lucido ascolto dei propri movimenti interni, a ogni progressivo svelamento del tragitto realmente percorso fino a quel momento, al di là di ogni mera e superficiale apparenza.
Si mobiliterà -te lo auguro- e sarà ogni volta un’occasione di incontrare davvero te stesso.
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Francesca Di Donato – Psicologa
Scuola di Psicologia lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi.

1 anno ago · · 0 comments

Bisogno di sicurezza e carriera

La cosa insidiosa non è se punti all’affermazione di te attraverso il lavoro e la carriera, perché in questo caso il rischio più grande, al più, è ritenere che il tuo valore si misuri su voti, su obiettivi, stipendio e status e, per quanto sia discutibile, il danno mi appare limitato.

La cosa insidiosa è se sul lavoro e sulla carriera fondi il tuo bisogno di sicurezza, raccontandoti che finché hai un lavoro e uno stipendio a fine mese allora tutto va bene.
E la fregatura è che questa roba regge.

Appare sensata al punto che verrà pressoché sempre approvata e rinforzata dall’esterno, pure da chi nel lavoro ha alienato se stesso.

Facci caso. La gente non ti chiede se sei felice, ma dopo un “come stai” di futile circostanza, ti chiede se lavori e che lavoro fai, perché a quella gente non frega nulla di come tu stia, indaga solo a che punto sei.
Se sei donna, per non farci mancare nulla nella sagra dei cliché, pure se sei sposata e se hai figli.

Regge, come vedi. Eccome se regge!
Viviamo in un sistema fondato sul lavoro e sulla famiglia, come potrebbe essere altrimenti!

Regge a meno di scoprire col tempo che, nell’essere al sicuro e comunque infelici, l’unica cosa garantita è una vita vissuta a metà.
Lo spreco di cui ti rendi conto, se dirà male, quando l’età, gli acciacchi e l’affanno rendono qualunque cambio rotta improbabile e azzardato.

Lo vuoi un consiglio?
Cerca la tua sicurezza altrove
… e se ti capita butta un occhio dentro di te, non fuori.
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Francesca Di Donato – Scuola di Psicologia
Lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi

1 anno ago · · 0 comments

Il tempo ha più velocità

Il tempo ha più velocità.
Quella della lancetta dei secondi che procede inesorabile a suon di istanti.
Quella della lancetta dei minuti che, se ci pensi, regala un respiro.
Quella della lancetta delle ore che placa l’animo al punto che talvolta sembra non passare mai.
Ci sono i numeri, che se espressi in modo chiaro, danno una parvenza di controllo sullo scorrere che incede.
E poi c’è la non-velocità dello stare, che è quel momento in cui l’orologio è altrove e tu sei qui, presente, nell’unico momento reale da vivere.
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Francesca Di Donato – Psicologa

1 anno ago · · 0 comments

Illusione e delusione. Illusione e disillusione – di Francesca Di Donato

Per crescere dentro ogni rapporto, a partire dall’illusione iniziale sulla disponibilità dell’altro nei nostri confronti si hanno due strade da percorrere:
quella della delusione che attribuisce potere all’altro e lo vede come completo responsabile, perfino colpevole, della non realizzazione delle proprie aspettative, dei propri bisogni e desideri;
quella della disillusione che porta a riappropriarsi del proprio potere interno e riconoscere il proprio ruolo nella narrazione, di essersi creati quelle illusioni, quelle aspettative e che esse probabilmente non tenevano conto di tutti gli aspetti della realtà.
Nella prima, la crescita -quasi come un ossimoro- diventa stagnante.
Nella seconda, diventa evoluzione.
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Francesca Di Donato – Psicologa
Scuola di Psicologia – lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi

1 anno ago · · 0 comments

A noi due Frodo Beggins – di Francesca Di Donato

La storia del Signore degli anelli è sempre stata una questione tra me e Frodo.
Sempre più consapevole che a molti prima o poi tocca compiere un viaggio, quel viaggio. Il viaggio per liberarsi da un fardello a cui si è apparentemente destinati, per sciogliere il legame con ciò che nuoce. Quel viaggio in cui più di ogni altra cosa conta avere amici e compagni di avventura per dividere l’onere e l’onore.
Un viaggio fuori dalla gabbia resa accettabile dall’abitudine e dalla paura.
Un viaggio dove già il compiere un passo dopo l’altro è ogni volta destinazione.

Perché Frodo?
Frodo è me o io sono in qualche modo Frodo.
Frodo è un giovane hobbit che si ritrova a dover portare un grande fardello in una missione sopra ogni sua sana possibilità, dal momento che lo zio ebbe l’idea sconsiderata di tenere con sé qualcosa che sarebbe dovuto essere distrutto/risolto molte ere prima.
L’anello: quale oggetto può essere più rappresentativo di un anello per rappresentare il legame. Quel legame con le numerose generazioni che ti hanno preceduto e che con esso non hanno saputo prendere le giuste scelte.
Quindi Frodo trascina con sé il peso di ciò che qualcuno prima di lui non è stato capace di gestire nel modo che occorreva.
E nessuno al di fuori di lui può essere il portatore, perché nessuno ne ha gli strumenti o ne è esente da rapida e inesorabile corruzione.
Quindi Frodo non ha scelta. Qualcuno deve farlo.
Per sé, per gli altri, per la Terra di Mezzo.
E con lui c’é Sam, fedele autentico benevolo amico senza il quale nulla sarebbe stato possibile.
Con lui altri compagni, con i quali, tuttavia, è bene che le strade si separino o il rischio aumenterebbe, gli intralcerebbero il cammino, perché son coloro che non hanno sufficienti risorse per quanto richiesto.
Il costo è alto in ogni caso.
Con la compagnia al completo la minaccia esterna forse si affievolirebbe, ma aumenterebbe la minaccia interna.
Senza compagnia viene contenuta la minaccia interna ma si è più soli ed esposti a quella esterna.
Sembra tuttavia che le minacce che vengono da dentro siano più logoranti e di fronte a esse è anche più facile abbassare la guardia, essere più vulnerabili o impreparati perché non te l’aspetti davvero fino in fondo che la minaccia venga da lì, anche quando in qualche modo lo sai che, come è già stato, accadrà.
E c’è Gollum, la guida al limite, mossa più dalle sue spinte, dai suoi bisogni, che da un’autentica intenzionalità orientata al supporto.
C’è Gandalf, per quelle poche parole ma sagge che lo
riportano al centro di se stesso.
Deve prendersi cura di sé Frodo e intanto pensare che c’è un mondo da salvare.
Alla fine il compito è portato a compimento, ma riuscire a sentirne davvero il sollievo è impossibile, perché le ferite, ormai indelebili sulla pelle, fanno male e gli ricordano ciò che è stato.
È salvo lui. È salva la Terra di Mezzo, ma il logorio troppo a lungo è perdurato e non può far finta che non sia stato così. Non può girare il capo dall’altra parte e coprire tutto con un sorriso.
A nessuno dovrebbe mai spettare un compito tanto ingrato.
A nessuno.
Ed è così che mi sento, se guardo alla mia storia: erede di nodi sigillati che ora spetta a me sciogliere.
Ho sempre avuto la fortuna di avere un Sam al mio fianco, davanti al quale la mia fiducia non ha mai vacillato, ma ho anche incontrato lungo il cammino qualcuno che era meglio lasciarmi alle spalle.
Ho cercato nel tempo un Gandalf che mi aiutasse a non perdermi, a non smarrire la via dentro di me, mentre percorro quella al di fuori.
Ma ho incontrato anche un paio di Gollum, persone al limite, presenti solo in funzione del loro bisogno di ricongiungersi a quel qualcosa di illusorio che potesse colmare il loro vuoto, ma a differenza di Frodo sapevo che non mi avrebbero fatto bene e che la distanza in ogni sua forma era l’unica opzione.
Spero ancora di incontrare la saggezza degli elfi, ne sono costantemente alla ricerca.
E come cerco di salvare me stessa, aiuto altri a salvare loro stessi con il mio lavoro: da una parte i colleghi per svegliarli dall’intorpidimento ricercato da coloro che, come Saruman, radunano eserciti per esercitare un dominio tossico, e verso i pazienti perché prendermi cura sembra, a oggi, ancora, l’unica opzione.
A che punto del cammino sono?
Come Frodo non ho chiaro quanto distante sia il Monte Fato da me.
So, tuttavia, che sono nel tratto delle Paludi della morte, quelle paludi che nel tempo hanno ingoiato le tombe del morti in battaglia, senza che i loro corpi possano decomporsi, paludi dotate di una qualche sorta di coscienza collettiva che ha continuato ad espandersi nel tempo.
Lo sento che è così, perché le paludi rendono il passo più pesante e lento e mi costringe a guardare, oltre lo specchio d’acqua, tutto ciò che è stato ricoperto per celarlo alla consapevolezza.
È qui che sono.
Ciò che mi sostiene è la fiducia che arriverò a lanciarlo quell’anello tra le fiamme, cercando di non cedere a esso.
È una delle imprese più imponenti che un essere umano possa concedere a se stesso, quando la vita non ti ha dato altra scelta.
Viaggi simili, ognuno con la propria narrazione, spettano a molti.
Viaggi simili, temo, se li concedano in pochi.
Io sono lungo la via ed è questo che mi consente di aiutare chi si rivolge a me di iniziare a percorrere la propria.
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Francesca Di Donato – Psicologa
Scuola di Psicologia – lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi

Barbie: il manifesto dell’umana imperfezione – di Francesca Di Donato

1 anno ago · · 0 comments

Barbie: il manifesto dell’umana imperfezione – di Francesca Di Donato

C’è chi ritiene che il film di Barbie parli di femminismo estremo che soverchia il patriarcato, prendendone posto.
No. Non è così.
Il femminismo estremo nel film è presente solo nel mondo della fantasia, mentre nella realtà c’è qualcosa che conosciamo tutti bene: una società tanto maschilista che ti crea le quote rosa al pari del darti una Barbie in mano, così da tenerti buona facendoti credere di aver ottenuto ciò che volevi.
Nel mondo della fantasia di Barbie le donne svolgono tutti i lavori che vogliono, sono felici e disimpegnate dai problemi, nel mondo della realtà la stessa azienda che ha dato forma vitale quella fantasia è retta da soli uomini, fatto salvo la segretaria che, ovviamente, manco a dirlo, è donna e madre, alle prese con una figlia adolescente, con un marito sullo sfondo.
Ma il film parla solo di questo? Assolutamente no.
Il film parla di quel delicato passaggio dall’infanzia all’adolescenza quando non solo una bambina perde interesse per i giochi che fino a quel momento l’hanno accompagnata nella crescita, per iniziare un periodo di confusa affermazione di sé, cambiando le carte in tavola alla relazione con le figure di riferimento, per spostarsi verso il gruppo di pari, a volte anche con rabbia.
Parla di quanto i giochi si facciano portatori silenti e passivi di tutte le proiezioni e dei sentimenti che una bambina ha, oltre che della parte creativa, della sperimentazione anche distruttiva, volta ad anticipare la separazione dall’oggetto, come con Barbie Stramba.
Il film parla della cooperazione, del supporto dell’amicizia tra donne e del potere che trascina con se questo tipo di complicità.
Parla della possibilità di uscire dallo stereotipo di perfezione, interna ed esterna, per prendere contatto con ciò che di umano, doloroso, finito c’è dentro e fuori di noi e di riuscirne comunque a vederne la bellezza.
Parla di come si sente quell’uomo che vive in funzione della propria donna, dominato, e come si sente la donna quando riceve attenzioni non gradite.
Parla del non arrendersi a qualcosa che deprime, immobilizza, annulla e a trovare risorse interne ed esterne per cambiare le cose che riteniamo inaccettabili.
Parla del genitore che lascia andare per la sua strada la propria creazione, senza interferire con la proprie aspettative su di essa.

Barbie parla di tutti noi e di ciò che siamo disposti a vedere.
E lo fa in modo bizzarro, con leggerezza, pizzicando con tatto queste tematiche, in un modo che possa andare bene per tutti, per grandi e piccini.
Quindi no, non è un manifesto di estremismo femminista.
Barbie è il manifesto dell’umana imperfezione.
Ed è un film che ti chiede solo di empatizzare con tutti i personaggi per coglierlo.
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Francesca Di Donato – Psicologa

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