Gentile Presidente Lazzari,
Le scriviamo a nome di numerosi colleghi che sempre meno si sentono rappresentati dalle Istituzioni e niente affatto tutelati nel loro ruolo giuridicamente fondato, a dispetto di numerosi pregiudizi nutriti da cattiva informazione e diffusi dalla stessa categoria.
Lo scotto da pagare è quello di aver scelto una formazione diversa da quella in psicoterapia, seppur coinvolti nell’ambito clinico, della salute e del benessere.
Troppo spesso accade, infatti, che la qualifica di psicoterapeuta venga ritenuta requisito di accesso, anche quando non è necessario né tantomeno attinente al ruolo e alle mansioni richieste da un preciso bando, perdendo di vista, così, la specificità dell’incarico.
Per questo è più che mai necessario intervenire in tal senso e, una volta conseguita l’abilitazione professionale, iniziare a guardare ai singoli professionisti e al loro personale bagaglio, così da riconoscere e valorizzare le specificità in un’ottica meritoria.
La specializzazione -nella nostra professione, che è quella di PSICOLOGO- non può e non deve essere, quindi, la chiave che apre tutte le porte.
Un sistema che sa affacciarsi solo ed esclusivamente a titoli e qualifiche per discriminare preparazione e professionalità, è lontanissimo dall’essere un sistema meritocratico.
Quando, poi, certe qualifiche vengono chiamate in causa anche in contesti non appropriati, la meritocrazia non è l’unica dimensione che viene tradita, ma viene tradita un’intera professione, quella di PSICOLOGO, che sembra debba trovare la sua identità nell’essere qualcos’altro: Psicologo-PSICOTERAPEUTA.
Ci rendiamo conto che i titoli debbano spesso essere una discriminante nelle selezioni pubbliche, tuttavia è bene ricordarsi qual è la professione.
Dopo tanti anni dall’istituzione della nostra legge ordinistica, si finge ancora di non sapere a cosa risponda l’art.3 della legge 56/89, ci si dimentica il come e per chi nasce e a quali uniche porte dovrebbe dare accesso: mentre troppi colleghi e le istituzioni girano la testa dall’altra parte rispetto a una realtà storica e giuridica, gli Psicologi -che sono stati capaci di prendere decisioni consapevoli e libere dalle false credenze- si ritrovano a doversi leccare le ferite provocate da una moltitudine di colleghi che mettono in giro, diffondendole come verità, svalutazioni, pregiudizi e informazioni scorrette e da un Ordine che dovrebbe osservare e ascoltare di più coloro che rappresenta.
Quindi, Le chiediamo: possibile che anche considerando aree di intervento specifiche come lo Psicologo scolastico, si debba rischiare di essere nuovamente messi da parte da criteri di selezione che poco rispondono alle reali necessità?
Non è eccessivo e fuori luogo estendere la visione psicoterapeuticocentrica della cura e degli interventi psicologici, anche alla Scuola?
Quando parliamo di Psicologo scolastico, oggi, ci riferiamo a interventi di ricerca, consulenza, prevenzione, intervento e contenimento attraverso:
. sportello scolastico
. progetti sull’educazione socio-affettiva
. interventi psicoeducativi -formativi e informativi- per insegnanti e genitori
. interventi riguardanti i BES e in particolare i DSA
. educazione sessuale
. orientamento scolastico e professionale
. motivazione e metodo di studio
. integrazione multiculturale e inclusione
. partecipazione attiva
. stress lavoro-correlato
. dispersione scolastica, disagio giovanile e devianze
. supporto alla genitorialità nell’affrontare le dinamiche comportamentali e/o emotivo-relazionali dei figli
. invio a servizi territoriali competenti
. comunicazione e mediazione genitori-figli, genitori-insegnanti, studenti-insegnanti
Quindi oltre a chiedere all’Ordine di farsi portavoce affinché
– lo Psicologo diventi figura di riferimento continuativo per la scuola, inserito nell’organico stesso in modo stabile e non come professionista esterno;
– si definiscano con precisione gli ambiti di intervento entro quell’area, per non disperdere risorse e disperdersi nell’obiettivo che deve essere concreto, realistico e raggiungibile;
– si valuti quante figure sono necessarie per numero di persone a garanzia dell’efficacia;
– si rifletta su come favorire collaborazioni con l’esterno;
– di intervenire concretamente affinché si giunga a una regolamentazione chiara e definitiva della figura, onorata da un compenso che risponda a un contratto collettivo nazionale di lavoro e non alle leggi del libero mercato, che spesso si traduce a un gioco al ribasso;
– si assicuri il veto sulla commistione di ruoli: lo psicologo scolastico deve essere una figura con un ruolo chiaro e definito, non sovrapponibile ad altri ruoli svolti nello stesso contesto;
– si ragioni su come garantire la continuità degli interventi, affinché interventi specifici -individuali e collettivi- siano proficui
…
Le chiediamo con forza di considerare la seguente possibilità:
lo Psicologo scolastico potrebbe essere inserito -attraverso la revisione dei profili- nel personale ATA, a garanzia dell’autonomia professionale tipica del dipendente statale. La graduatoria sarebbe, così, regionale/provinciale, per titoli, a partire dalla Laurea in Psicologia, con punteggi a crescere per ogni attività curriculare -formativa e lavorativa- corrispondenti al ruolo e alle attività da ricoprire.
Ed è ora che bisogna agire, perché è ora che sta avvenendo la revisione dei profili presso l’ARAN, con i sindacati di riferimento coinvolti.
In questa fase storica, inoltre, si potrebbero riassorbire tutti i posti che in organico sono stati accantonati, causa calo delle nascite: numerosissime risorse in tutta Italia, che potrebbero coinvolgere Psicologi scolastici pagati dallo Stato: almeno uno per ogni Istituto comprensivo.
Quindi, per riassumere, lo Psicologo scolastico deve nascere come figura integrata all’interno dell’Istituto scolastico, come dipendente, che risponde direttamente allo Stato in piena autonomia professionale, così da sfruttare tutto il potenziale che può essere offerto da un professionista che, a quel punto, vivrebbe la realtà scolastica ogni giorno, tutte le settimane.
Le chiediamo inoltre di tener conto anche di un’altra realtà, quella dei Dottori in tecniche psicologiche, trattata quasi come categoria fantasma.
La Legge 170/2003 definisce chiaramente tutte le attività in cui possono essere coinvolti i nostri colleghi, che sia in rapporto di collaborazione con lo Psicologo o in autonomia.
Quindi, ammessa la necessità di mettere in gioco di volta in volta, di bando in bando, un profilo specifico, riteniamo che esso non debba coincidere con la specializzazione in psicoterapia, bensì con un curriculum vitae che risponda davvero al profilo richiesto, coinvolgendo sia gli Psicologi sia i Dottori in tecniche psicologiche.
Giuridicamente la specializzazione in psicoterapia è necessaria solo per ricoprire il ruolo dirigenziale nel pubblico e anche in questo caso è bene ci sia la consapevolezza che ciò non implica saper assolvere a quel ruolo.
Ma va bene così, purché l’Ordine si faccia finalmente portavoce di tutta la categoria e non solo di chi è specializzato e che, secondo criteri giuridici, deontologici e meritocratici, ci tuteli all’interno della categoria stessa e relativamente a tutti i settori e aree di intervento, valorizzando gli atti tipici dello Psicologo così come riportati dall’art.1 Legge 56/89.
Quindi possiamo contare sul CNOP affinché si lavori in tal senso?
In attesa di una sua risposta,
Le auguriamo buon lavoro.
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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute – percorsi individuali, di coppia e in gruppo: in presenza e online
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