3 anni ago · Francesca Di Donato - Psicologa · 0 comments
Aiutare chi aiuta. L’importanza del caregiver – di Enrico Olivieri Psicologo
“Aiutare chi aiuta”
L’importanza del caregiver
“Quando una persona cara si ammala, la malattia appartiene a tutta la famiglia”.
Si parla di caregiver – “colui/colei che “fornisce cure” – quando una persona all’interno (o all’esterno) della famiglia si prende cura di un familiare, un congiunto ammalato o una persona disabile; accudisce cioè qualcuno che ha subìto una diminuzione o perdita di autonomia per vari motivi (disabilità, demenza, ecc.).
In questo articolo mi occuperò del caregiver familiare, il quale si distingue dal caregiving professionale, dove chi presta cure è personale specializzato e abilitato (es. infermiere, operatore socio sanitario, badante, assistente domiciliare, ecc.).
I costi emotivi da sostenere nella malattia del proprio caro, per il caregiver familiare, sono molteplici e riguardano l’accettazione o non accettazione della malattia, i cambiamenti di ruolo (da coniuge a genitore o da figlio a genitore), il dolore, la conflittualità, la perdita affettiva e relazionale.
Spesso nella famiglia si “sceglie” in modo più o meno esplicito il “caregiver principale”, ovvero colui che in prima persona e per un lungo periodo di tempo si prende cura del malato. La designazione di un caregiver principale, da un lato può essere utile per dare un punto di riferimento stabile al malato, ma dall’altro può portare al riacutizzarsi di dinamiche familiari irrisolte. Inoltre, va ricordato che il caregiver principale non deve diventare esclusivo, ma deve poter concedersi dei momenti per vivere altri ruoli relazionali importanti e per dedicarsi a se stesso e ai propri interessi. Avere degli spazi personali in cui sentirsi gratificato è fondamentale per potersi relazionare meglio con il malato.
L’assenza di spazi dedicati al proprio benessere può essere deleteria; alcuni comportamenti alimentari e/o abitudini diventano una valvola di sfogo (come alcool o fumo) e portano, nel lungo termine, a conseguenze dannose a livello psico-fisico. Tutto ciò può portare ad avere un malato incompreso che diventa molto più difficile da gestire perché, sentendosi frustrato, svilupperà più facilmente comportamenti difficili, aumentando lo stress del caregiver. Questo processo può aumentare fino a portare ad una frattura nella relazione di cura. In queste situazioni è bene che il caregiver espliciti le proprie difficoltà di gestione e condivida con gli altri membri della famiglia e con gli altri curanti i propri stati emotivi ed eventualmente la scelta di modalità assistenziali diverse.
Il “caregiving” è dunque un’attività difficile e destabilizzante. Come emerge dalla maggior parte degli studi al riguardo, il caregiver manifesta rabbia, stanchezza, senso di colpa (per il timore di non essere adeguato al compito), o percepisce una propria supposta “inutilità”. Dal punto di vista psicologico i sintomi depressivi e i problemi d’ansia sono le criticità più diffuse nel caregiving (stress cronico). Inoltre, possono comparire una serie di disturbi psicofisici quali gastriti, mal di testa e dolori dovuti allo sforzo fisico che si compie.
Sono tante le variabili che possono influire sullo stress del caregiver e sulla gestione del malato, ma sicuramente il chiedere aiuto, in particolar modo a chi lavora con i malati di Alzheimer o a persone che vivono situazioni simili (malattie degenerative), può essere molto utile nel trovare soluzioni pratiche e nel condividere un “fardello” molto pesante.
Sarebbe utile ricordare a se stessi che si è importanti per sé e per il malato, informarsi, considerare i propri limiti, soddisfare i propri bisogni e interessi, condividere i problemi con la famiglia, non avere paura o vergogna di ammettere le difficoltà, farsi aiutare da esperti, prendersi periodi di riposo e ricaricare le energie.
La consapevolezza della malattia da parte del caregiver è fondamentale perché giunge all’accettazione della situazione ed è grazie a questa che riesce ad affrontare le proprie sofferenze psicologiche e a superarle. Flessibilità e capacità di adattamento, poi, sono chiavi principali per la sopravvivenza del caregiver, grazie alle quali intuire soluzioni che andranno continuamente sperimentate, verificate, riviste, riaggiustate con il progredire della malattia.
Come sottolineato, accudire una persona malata, richiede molto tempo ed energie per cui nei familiari possono insorgere, come conseguenza, degli alti livelli di stress, rabbia, stanchezza, senso di colpa, ansia e depressione.
Lo psicologo potrà aiutare nel processo iniziale di elaborazione della diagnosi, nell’accettazione del cambiamento relazionale ed ambientale, nella gestione dell’impatto emotivo, nel sostegno e supporto e, nella elaborazione del cordoglio anticipatorio se necessario. Inoltre, può facilitare il riconoscimento delle risorse personali e familiari e il loro utilizzo, aiutando a gestire le dinamiche familiari disfunzionali e promuovendo il cambiamento dell’organizzazione familiare.
In conclusione.
L’assistenza al malato è un compito arduo, non esistono risposte semplici alle difficoltà da affrontare, né regole fisse da seguire che funzionino in ogni situazione. Ogni malato è diverso, così come diversi sono i caregivers e i contesti familiari, socio-culturali ed economici in cui si inserisce la patologia.
Prendersi cura del proprio benessere psicologico è indispensabile per aiutare l’altro.
Ci si può concedere ogni giorno una pausa, anche solo di mezz’ora. Tutto ciò non è un atto egoistico ma aiuterà a essere un caregiver migliore.
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Dott. Enrico Olivieri – Psicologo Tel.348/7931382
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