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6 giorni ago · · 0 comments

Vita. Francesca Di Donato

La vita di per sé non è né bella né brutta.
È un’opportunità che evolve attraverso esperienze, incontri, scelte, sfide, banchi di prova ed errori, prove e obiettivi portati a segno.
Puoi sprecarla aderendo a copioni perdenti o sfruttarla al meglio possibile, valorizzandone il potenziale.
La vita è quell’occasione che ti è stata data senza aver fatto nulla per averla, ma sta a te, oggi, scegliere come viverla.
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Francesca Di Donato – psicologa
Scuola di Psicologia lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi

6 giorni ago · · 0 comments

Come ti immagini da qui a 5 anni. Francesca Di Donato

Chiedere a qualcuno come si immagina da qui a 5-10 anni, senza verificare cosa sa del Sé di oggi, ritengo non abbia alcun senso, se non supportare inconsapevolmente una falsa costruzione di una progettualità pensata, piuttosto che sentita.
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Francesca Di Donato – Psicologa
Scuola di Psicologia lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi

6 giorni ago · · 0 comments

No alla colpa, sì alla responsabilità. Francesca Di Donato

Il senso di colpa non restituisce nulla all’altro; nasce e ed eventualmente muore entro la persona che lo prova.
La persona che si ferma al senso di colpa, inoltre, difficilmente gode di passaggi evolutivi e maturativi significativi per la propria crescita personale.

L’assunzione di responsabilità, invece, restituisce all’altro una validazione per quanto accaduto e, per la persona che la esercita, ha il sapore del sano potere con se stessi, nutrito di affermazione di sé, con ovvi risvolti accrescitivi della propria interiorità.
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Francesca Di Donato – psicologa
Scuola di Psicologia lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi

6 giorni ago · · 0 comments

Donna, madre e cristiana. Francesca Di Donato

Spaventati e spaventanti. Seminano il terrore in nome del sentore di un pericolo esterno costante.
Sollecitano con la stessa sottovalutata costanza di una goccia che diventa capace di bucare una roccia nel tempo.
È così che il sistema di allarme del sollecitato si attiva e si accresce in nome di un pericolo interiorizzato per il solo fatto di essere stato immaginato.
Come in famiglia, così nella politica.
Occhio alle “madri cristiane” che lo siano letteralmente o metaforicamente, perché sono cresciute nelle acque persecutorie della colpa, dell’espiazione dei peccati, della penitenza così detta per non chiamarla punizione, del sacrificio, della flagellazione, delle piaghe e dell’inferno e della dannazione.
Ricordatevi che l’angelo che ha osato ribellarsi a Dio è diventata la personificazione del male, al pari del figlio che osa provare a diventare se stesso senza l’autorizzazione del genitore.
Le “madri cristiane” crescono ma non evolvono e da perseguitate diventano persecutrici, e vi diranno che lo fanno per il vostro bene.
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Francesca Di Donato psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute – formazione e supervisione

4 settimane ago · · 0 comments

Siamo tutti neuro-divergenti. Francesca Di Donato

Noto un’ondata di polemiche a tutela delle neurodivergenze -diagnosticamente intese- contro alcune parole di Galimberti. Non ho ascoltato Galimberti, ma ho ascoltato le polemiche e su quelle ho qualcosa da ri-dire.
Il processo di attribuire etichette risponde all’umano bisogno di categorizzare la realtà, apparentemente per semplificarsela.
Ma con buona pace della capacità evolutiva di cui siamo dotati possiamo anche tentare di andare oltre ogni volta che è possibile.

Ormai è perfino in voga farsi ipotesi di diagnosi di neurodivergenza, così come noto toni compiaciuti nelle parole di alcuni quando possono dire al mondo social di averne ricevuta una.
Ognuno dovrebbe provare a contattare a cosa risponde la personale necessità di avere una diagnosi, perché scommetto sullo stupore quando si scoprirà cosa trascina davvero con sé, al di là delle motivazioni di superficie a cui si ha di solito accesso.

Vi soddisfa sul serio la narrazione dominante per cui si ritiene davvero esista un cervello che funziona in modo tipico e che a esso si contrapponga quello che viene definito neurodivergente?

Francamente ritengo siamo tutti fottutamente neurodivergenti e divergiamo gli uni dagli altri senza sconti. Anche perché tutto è interconnesso a livello di sottosistemi annessi al funzionamento umano e ciascuno ha una risultante specifica e soggettiva a queste connessioni. Così come ognuno ha una risposta soggettiva agli stimoli, interni ed esterni, incluso a quelli legati all’apprendimento.
Ogni singolo essere umano presenta un sistema di funzionamento unico e ciascuno sviluppa continuamente nel corso della vita strategie, compensazioni e adattamenti continui, con modalità non sovrapponibili al alcuno.

Vi siete mai chiesti perche questa necessità di dare un nome a questi tipo di funzionamento è così tanto alimentato entro i contesti formativi?
Ve lo dico io.

Perché sono sistemi orientati al risultato, a quel voto che ingenuamente ritenete davvero parli della vostra preparazione e del vostro valore accademico al punto da sbandierarlo ai quattro venti ogni volta che risponde all’immagine che ci tenete a rimandare all’esterno o da vergognarvene se non concilia con essa.
Perché sono sistemi formativi rigidi, preconfezionati e con le priorità sballate.

Perché molti sono insegnati e pochi sono maestri.
Perché la maggior parte degli insegnanti, ciascuno nella propria neuro divergenza, si aspetta che siano gli allievi a dover aderire e adattarsi allo stile di insegnamento di chi lo esercita e non il contrario.
Perché è più facile pensare che sia l’altro ad avere un problema, piuttosto che mettere in discussione le proprie abilità o il proprio schema di insegnamento, quando qualcuno resta fuori dai giochi.

Perché alla metà dei genitori interessa che il figlio esca con un buon voto, se non ottimo; e all’altra metà avendo perso le speranze sui voti, spera che almeno finisca il percorso.
Quindi non importa se sei infelice o se non sai muovere i passi nel mondo, basta che prendi bei voti o che, alle brutte, ti fai promuovere.
Le priorità sono priorità, d’altronde!

Perché i figli si fanno dapprima agganciare dalle aspettative di genitori e insegnanti, per adesione o contrapposizione, e poi -pure quanto potrebbero iniziare a svincolarsi- ci finiscono con tutte le scarpe a credere che la priorità della vita sono studio e voti e che il loro valore dipende da questo.
Per molti la vita da allievo diventa perfino un rifugio per evitare di osare davvero.
E dopo aver aderito a tutto questo magari diventano loro stessi insegnati e/o genitori e il ciclo si ripete a oltranza.

Tutto questo trasforma l’apprendimento in un atto passivo e non partecipativo: un terreno più che fertile per determinare chi diverge e chi è tipico.
Tranne poi scoprire, appunto, che divergiamo tutti.

Così, tra le mura scolastiche molti si raccontano la neurodivergenza come uno svantaggio, talvolta anche con una punta di vittimismo, perché, attraverso tutte le sue derive, incide sulla prestazione e sull’immagine di sé in funzione della prestazione.
Sui social si trasforma in un motivo di vanto, perché si cede al fascino di appartenere a una minoranza, come tentativo disperato di emergere dal mucchio. Insomma, il diverso che fa figo.

Rappresentarsi la realtà, categorizzandola, è più facile che coglierne la complessità e ad aderire ad essa, per questo vi fanno credere -e ci caschi- che quella roba sia necessaria.
A scuola per cavartela e nella vita per emergere.

E la naturale unicità di ciascuno, intanto, ce la perdiamo.
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Francesca Di Donato psicologa

7 mesi ago · · 0 comments

A tuo figlio non piace studiare. Francesca Di Donato

Troppo spesso i genitori mal tollerano che i propri figli possano non provare piacere a studiare e ripetere, in vista di interrogazioni, compiti in classe ed esami, che sia in generale o che sia per qualche materia specifica.
A volte il problema è in classe e si lega al contesto dell’insegnamento e/o alla relazione con il docente, altre volte il problema è a casa per il peso delle aspettative, altre ancora ci sono difficoltà latenti che contaminano l’esperienza.

Eppure, talvolta, non ci sono problemi e semplicemente a qualcuno NON PIACE STUDIARE.
Davanti a questo i genitori fanno la cosa meno utile che si possa fare -spesso più per dinamiche personali inconsapevoli, che per autentico interesse verso lo studio in sé- che è pressare, dirgli di sforzarsi, investirli ancora di più di aspettative, punirli… alimentando ancora di più la spaccatura.

Suggerisco un’alternativa che, forse, offre più risultati del chiedere ai vostri figli di perseguire le loro strade a modo vostro: apprezzate che, nonostante non amino studiare, comunque ci provano, e chiedete se c’è qualcosa che potete fare per loro; qualcosa che possa rendere lo studio più piacevole.
Se è ciò che potete offrire, bene. Diversamente, nessuno starà qui a pressarvi, a dirvi di sforzarvi, investendovi di aspettative, punendovi, aumentando ancora di più la spaccatura tra voi e ciò che non vi piace o non riuscite a fare per vostro figlio.

Vi è chiaro il senso?
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Francesca Di Donato – Psicologa
Scuola di Psicologia lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi.

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Francesca Di Donato – Psicologa
Scuola di Psicologia lo psicologo è colui che aiuta l’altro a curarsi.

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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica, della salute

7 mesi ago · · 0 comments

La criticità nello scegliere di fare ciò che si è bravi a fare. Francesca Di Donato

Nei ragionamenti interiorizzati orientati alla prestazione c’è un aspetto che si insinua passando inosservato: questo aspetto riguarda il muoversi quasi automaticamente verso quelle scelte/attività per cui ci si percepisce bravi o si sente di avere un talento.
Saper fare qualcosa, riuscire in certe attività non implica e non garantisce necessariamente l’adesione a se stessi, soddisfazione e appagamento duraturi.
Anzi, talvolta si diventa bravi in qualche aspetto della vita solo dopo aver pagato un prezzo troppo alto, con ricadute negative significative su se stessi.

Va bene chiederti cosa sei capace di fare, ma la domanda più importante è cosa ti fa stare bene, nutrendoti di entusiasmo e vitalità, anche al solo pensiero di farla.
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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica, della salute

7 mesi ago · · 0 comments

Cosa ci insegna la storia di Imane Khelif alle Olimpiadi. Francesca Di Donato

La storia di Imane Khelif ci insegna almeno quattro cose.

La prima lezione è quanto siano pericolose certe informazioni in mano alle persone che non sono capaci di padroneggiarle, nonostante molte di esse sentino il vanto di attestati di laurea appesi alle loro pareti (spoiler: è solo un pezzo di carta rilasciato da un’autorità pubblica che niente sa di te e niente sa delle persone autorizzate a stabilire la tua idoneità, se non quello che, con buona pace del relativismo di cui si nutre, è scritto su quei pezzi di carta stessi).
Si pensa, con superficialità, che la divulgazione di qualunque tipo trascini solo vantaggi e, invece, mettere certe informazioni in mano a persone non pronte, senza basi, è come dargli in mano una bomba nucleare.

La seconda lezione è che se ci si gioca male, come ha fatto la Carini, la o le argomentazioni dei propri blocchi o difficoltà, spostando il focus all’esterno, che sia fatto in buona o cattiva fede, può avere delle ripercussioni enormi, specie con la risonanza mediatica delle Olimpiadi al tempo dei social.

La terza lezione è che nonostante plurimi attacchi, offese, sentenze si può non perdere il focus su se stessi e su ciò che conta davvero, perseguendo comunque i propri traguardi.

La quarta lezione è che vincere l’oro non salva dal rischio di sentirsi addosso le ferite -quelle vecchie che si riaprono o mai rimarginate e le nuove appena inferte-, perché in fondo la vera gara è quella con se stessi.
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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica, della salute

7 mesi ago · · 0 comments

La strana faccia della divulgazione sui social. Francesca Di Donato

 

Oggi circolano numerose informazioni.
Sulla loro correttezza c’è da fare la tara alcune volte, tuttavia sono informazioni che, nella stragrande maggioranza dei casi, non ci era dato conoscere affatto, con la stessa fruibilità, prima dell’avvento dei reel o video sui social, specialmente in merito ai contenuti orientati alla salute.

Quanti medici, farmacisti, allenatori, nutrizionisti, farmacisti, fiosioterapisti, commercialisti, avvocati, infermieri ecc… avete conosciuto che nel pubblico o nel privato, perfino quando pagavate e pagate profumatamente si soffermavano o si soffermano tutt’ora a darvi anche solo uno straccio di informazione dettagliata e comprensibile su condizioni di vostro interesse o sulla salute in generale?
Disponibilità più uniche che rare, ammettiamolo.

Anzi, non solo spesso, specialmente i medici, si scocciano davanti alle domande poste, ma capita pure che se non viene a noi il dubbio su qualcosa, rischiamo di portarci a casa una visione ridotta di una questione che meritava maggiore attenzione.

Questo è a mio avviso la dimostrazione che, per lo più, la divulgazione sui social non è fatta per i cittadini, ma è strumento di mera visibilità di se stessi.

Quelle informazioni le danno perché è il modo per autorizzarsi a mettersi davanti a una videocamera che appaga il proprio ego.

Offrire informazioni alle persone non è il fine, è il mezzo.

Non ci sarebbe nulla di male, se ci fosse maggiore autenticità e se la stessa devozione la mettessero in campo nella relazione in carne e ossa con i pazienti, clienti, utenti di riferimento.
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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute

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