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4 anni ago · · 0 comments

Il seme di Kaori

C’era una volta in Cina un principe che non aveva ancora trovato moglie. Il padre era preoccupato: “quando morirò tu dovrai diventare imperatore, ma lo diventerai solo se sarai sposato. È così che stabilisce la legge, perciò, figlio mio, trova moglie.”

Il principe seguì il consiglio di un saggio e decise di radunare a palazzo tutte le fanciulle del suo regno. “La più degna colpirà il mio cuore e diventerà mia sposa” ripeteva tra sé e sé il principe.

Il giorno stabilito si presentarono a palazzo le più belle e affascinanti fanciulle del regno, avvolte in abiti ricchi e luccicanti.

Tra loro c’era anche la figlia di una serva del re, Kaori, che non era bella. Non era neanche ricca. La madre aveva cercato inutilmente di trattenerla a casa: “non andare, il principe non ti degnerà di uno sguardo, non puoi competere accanto alle altre.”

Kaori era stata irremovibile: “andrò a palazzo madre. So che non potrei mai essere io la prescelta, ma avrò almeno la gioia di avvicinarmi per un attimo al principe.”

Il principe annunciò la sua sfida: “benvenute, voi tutte. A ciascuna di voi darò un seme, e colei che fra sei mesi mi porterà il fiore più bello diventerà mia sposa, la futura imperatrice.”

Kaori prese il suo seme e appena tornata a casa, lo piantò in un grande vaso di argilla. Ogni giorno gli portava acqua, si assicurava che non patisse il freddo, che non assorbisse troppa umidità, che i raggi del sole non lo colpissero direttamente e troppo a lungo. La madre, guardando la sua perseveranza, pensava: “il principe dovrebbe sposare lei, per la grandezza del suo amore paziente.”

Dopo un mese dalla terra del vaso di terracotta non era spuntato alcun germoglio. Nulla. Kaori consultò anziani giardinieri, applicò i loro consigli. Non crebbe nulla. Dopo sei mesi il seme non era cresciuto. Niente. Neanche una minuscola fogliolina.

Arrivato il giorno dell’udienza dal principe, Kaori decise di portargli ugualmente il suo vaso, come segno del suo amore paziente. “Figlia mia, non andare. Le ripeteva la madre fin dall’alba. Come credi che reagirà il principe, vedendo un vaso vuoto?”

Giunta a palazzo, Kaori si mise in fila dietro a centinaia di giovani donne che tenevano tra le mani fiori bellissimi, stupendi, dai profumi inebrianti. Il principe ammirava ogni fiore che passava davanti a lui.

Quando le si presentò davanti Kaori, il principe scrutò il vaso colmo solo di terra con grande attenzione. Dopo di lei sfilarono altre fanciulle, tutte orgogliose dei loro magnifici fiori. Alla fine il principe si alzò dal trono e annunciò la sua decisione: “mia sposa diverrà quella giovane donna che tiene il vaso di terracotta da cui non è cresciuto alcun fiore.”

Le altre reagirono stupite: “ma come? Non è giusto. Che decisione è questa?”

Il principe le fece tacere con un cenno della mano e spiegò: “quella donna è l’unica che ha saputo far crescere il fiore dell’onestà. È degna di diventare imperatrice. I semi che vi ho dato erano senza vita, sterili; non avrebbe mai potuto crescere nulla da quei semi.”

Kaori e il principe si sposarono il primo giorno di primavera e la loro vita insieme fu felice.

Il seme di Kaori

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Francesca Di Donato – Psicologa
Psicologia clinica, dinamica e della salute – percorsi individuali, di coppia e in gruppo: in presenza e online
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4 anni ago · · 0 comments

Il segreto della felicità

Un mercante, una volta, mandò il figlio ad apprendere il segreto della felicità dal più saggio di tutti gli uomini.
Il ragazzo vagò per quaranta giorni nel deserto, finché giunse a un meraviglioso castello in cima a una montagna.
Là viveva il saggio che il ragazzo cercava.
Invece di trovare un sant’uomo, però, il nostro eroe entrò in una sala dove regnava un’attività frenetica: mercanti che entravano e uscivano, ovunque gruppetti che parlavano, una orchestrina che suonava dolci melodie.
E c’era una tavola imbandita con i più deliziosi piatti di quella regione del mondo.

Il saggio parlava con tutti, e il ragazzo dovette attendere due ore prima che arrivasse il suo turno per essere ricevuto.
Il saggio ascoltò attentamente il motivo della visita, ma disse al ragazzo che in quel momento non aveva tempo per spiegargli il segreto della felicità.
Gli suggerì di fare un giro per il palazzo e di tornare dopo due ore; “Nel frattempo, voglio chiederti un favore -concluse il saggio, consegnandogli un cucchiaino da tè su cui versò due gocce d’olio- mentre cammini, porta questo cucchiaino senza versare l’olio.”

Il ragazzo cominciò a salire e scendere le scalinate del palazzo, sempre tenendo gli occhi fissi sul cucchiaino. In capo a due ore, ritornò al cospetto del saggio: “Allora -gli domandò questi- hai visto gli arazzi della Persia che si trovano nella mia sala da pranzo? Hai visto i giardini che il Maestro dei giardinieri ha impiegato dieci anni a creare? Hai notato le belle pergamene della mia biblioteca?”
Il ragazzo, vergognandosi, confessò di non avere visto niente. La sua unica preoccupazione era stata quella di non versare le gocce d’olio che il saggio gli aveva affidato.
“Ebbene, allora torna indietro e guarda le meraviglie del mio mondo” disse il saggio. “Non puoi fidarti di un uomo se non conosci la sua casa.”

Tranquillizzato, il ragazzo prese il cucchiaino e di nuovo si mise a passeggiare per il palazzo, questa volta osservando tutte le opere d’arte appese al soffitto e alle pareti. Notò i giardini, le montagne circostanti, la delicatezza dei fiori, la raffinatezza con cui ogni opera d’arte era disposta al proprio posto.
Di ritorno al cospetto del saggio, riferì particolareggiatamente su tutto quello che aveva visto.

“Ma dove sono le due gocce d’olio che ti ho affidato?” domandò il saggio.
Guardando il cucchiaino, il ragazzo si accorse di averle versate.
“Ebbene, questo è l’unico consiglio che ho da darti”, concluse il più saggio dei saggi.
“Il segreto della felicità consiste nel guardare tutte le meraviglie del mondo, senza dimenticare le due gocce d’olio nel cucchiaino.”

Storia tratta dall’Alchimista di Paulo Coelho.

Il segreto della felicità
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4 anni ago · · 0 comments

Il cavallo e il fiume – Fiaba orientale

Un cavallino viveva nella stalla con la madre e non era mai uscito di casa, né si era mai allontanato dal suo fianco protettivo.
Un giorno la madre gli disse: “è ora che tu esca e che impari a fare piccole commissioni per me. Porta questo sacchetto di grano al mulino!”
Con il sacco sulla groppa, contento di rendersi utile, il puledro si mise a galoppare verso il mulino.
Ma dopo un po’ incontrò sul suo cammino un fiume gonfio d’acqua che fluiva gorgogliando. “Che cosa devo fare? Potrò attraversare?” Si fermò incerto sulla riva.
Non sapeva a chi chiedere consiglio. Si guardò intorno e vide un vecchio bue che brucava lì accanto.
Il cavallino si avvicinò e gli chiese: “Zio, posso attraversare il fiume?”
– “Certo, l’acqua non è profonda, mi arriva appena al ginocchio, vai tranquillo”.

Il cavallino si mise a galoppare verso il fiume, ma quando stava proprio sulla riva in procinto di attraversare, uno scoiattolo gli si avvicinò saltellando e gli disse tutto agitato: “Non passare, non passare! È pericoloso, rischi di annegare!”
– “Ma il fiume è così profondo?” chiese il cavallino confuso.
– “Certo, un amico ieri è annegato” raccontò lo scoiattolo con voce mesta.

Il cavallino non sapeva più a chi credere e decise di tornare a casa per chiedere consiglio alla madre: “Sono tornato perché l’acqua è molto profonda” disse imbarazzato “non posso attraversare il fiume”.
“Sei sicuro? Io penso invece che l’acqua sia poco profonda” replicò la madre. “È quello che mi ha detto il vecchio bue, ma lo scoiattolo insiste nel dire che il fiume è pericoloso e che ieri è annegato un suo amico”.
– “Allora l’acqua è profonda o poco profonda? Prova a pensarci con la tua testa”.
– “Veramente non ci ho pensato”.
– “Figlio mio, non devi ascoltare i consigli senza riflettere con la tua testa. Puoi arrivarci da solo. Il bue è grande e grosso e pensa naturalmente che il fiume sia poco profondo, mentre lo scoiattolo è così piccolo che può annegare anche in una pozzanghera e pensa che sia molto profondo”.

Dopo aver ascoltato le parole della madre, il cavallino si mise a galoppare verso il fiume sicuro di sé.
Quando lo scoiattolo lo vide con le zampe ormai dentro il fiume gli gridò: “Allora hai deciso di annegare?”
– “Voglio provare ad attraversare”.

E il cavallino scoprì che l’acqua del fiume non era né poco profonda come aveva detto il bue, né troppo profonda come aveva detto lo scoiattolo.

Il cavallo e il fiume

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4 anni ago · · 0 comments

Un bambino e le stelle marine

Una tempesta terribile si abbatté sul mare. Lame affilate di vento gelido trafiggevano l’acqua e la sollevavano in ondate gigantesche che si abbattevano sulla spiaggia come colpi di maglio, o come vomeri d’acciaio aravano il fondo marino scaraventando le piccole bestiole del fondo, i crostacei e i piccoli molluschi, a decine di metri dal bordo del mare.
Quando la tempesta passò, rapida come era arrivata, l’acqua si placò e si ritirò. Ora la spiaggia era una distesa di fango in cui si contorcevano nell’agonia migliaia e migliaia di stelle marine. Erano tante che la spiaggia sembrava colorata di rosa.

Il fenomeno richiamò molta gente da tutte le parti della costa.  Le stelle marine erano quasi immobili. Stavano morendo. Tra la gente, tenuto per mano dal papà, c’era anche un bambino che fissava con gli occhi pieni di tristezza le piccole stelle di mare. Tutti stavano a guardare e nessuno faceva niente.

All’improvviso, il bambino lasciò la mano del papà, si tolse le scarpe e le calze e corse sulla spiaggia. Si chinò, raccolse con le piccole mani tre stelle del mare e, sempre correndo, le portò nell’acqua. Poi tornò indietro e ripeté l’operazione.

Dalla balaustrata di cemento, un uomo lo chiamò. “Ma che fai, ragazzino?”
– “Ributto in mare le stelle marine. Altrimenti muoiono tutte sulla spiaggia” rispose il bambino senza smettere di correre.
– “Ma ci sono migliaia di stelle marine su questa spiaggia: non puoi certo salvarle tutte. Sono troppe!” gridò l’uomo. “E questo succede su centinaia di altre spiagge lungo la costa! Non puoi cambiare le cose!”
Il bambino sorrise, si chinò a raccogliere un’altra stella di mare e gettandola in acqua rispose: “Ho cambiato le cose per questa qui”.
L’uomo rimase un attimo in silenzio, poi si chinò, si tolse scarpe e calze e scese in spiaggia. Cominciò a raccogliere stelle marine e a buttarle in acqua. Un istante dopo scesero due ragazze ed erano in quattro a buttare stelle marine nell’acqua. Qualche minuto dopo erano in cinquanta, poi cento, duecento, migliaia di persone che buttavano stelle di mare nell’acqua.
Così furono salvate tutte.

Qual è la morale della storia?

Un bambino e le stelle marine
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Sultano saggio

C’era una volta un Sultano che si trovò improvvisamente senza il suo fedele contabile.
Egli morì inaspettatamente, lasciando al sultano un inestimabile tesoro da gestire.
Dopo aver preso consiglio dai ministri, il sultano mandò i suoi i banditori alla ricerca di un nuovo amministratore per la sua ricchezza.
Si presentarono diverse persone e furono condotte al cospetto del sultano.
Il sultano li condusse di persona alla camera del tesoro e li lasciò soli per qualche minuto.
Successivamente il sultano richiamò gli aspiranti, batté le mani e fece entrare i musici. Quindi si rivolse agli aspiranti contabili e disse loro: “Su, ballate!”

Tutti gli aspiranti ballavano male, con le braccia strette al petto e muovendosi lentamente: solo uno di essi saltava e danzava mostrando vigore e piacere per ciò che stava facendo. Osservata la scena, il sultano chiamò i ministri e le guardie, e disse a quello che ballava: “Tu sarai il mio nuovo contabile, in quanto a loro -indicando gli altri aspiranti – che vengano decapitati!”

Il vizir del sultano chiese allora: “Come mai è questa la vostra scelta, mio sultano?”
Ed egli rispose: “Vedi, mio fedele vizir, questi uomini hanno rubato l’oro dalla camera dove li ho lasciati: per questo mentre ballavano avevano paura che le monete nascoste cadessero.”

Poi indicò il nuovo contabile e aggiunse: “Quest’uomo invece è stato fedele e onesto, non ha rubato: infatti lui ballava sciolto, poiché non aveva nulla che gli recasse impedimento.”

Sultano saggio

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I tre setacci

Socrate aveva una grande reputazione di saggezza.

Un giorno venne qualcuno a trovare il grande filosofo, e gli disse: “Sai cosa ho appena sentito sul tuo amico?”
– “Un momento”, rispose Socrate, “Prima che me lo racconti, vorrei farti un test, quello dei tre setacci.”
– “I tre setacci?”
– “Ma sì”, continuò Socrate,“Prima di raccontare ogni cosa sugli altri, è bene prendere il tempo di filtrare ciò che si vorrebbe dire. Lo chiamo il test dei tre setacci.

Il primo setaccio è la verità.
-Hai verificato se quello che mi dirai è vero?”
– “No, ne ho solo sentito parlare.”
– “Molto bene. Quindi non sai se è la verità.

Continuiamo col secondo setaccio, quello della bontà.
– Quello che vuoi dirmi sul mio amico, è qualcosa di buono?”
– “Ah no! Al contrario.”
– “Dunque”, continuò Socrate, “Vuoi raccontarmi brutte cose su di lui e non sei nemmeno certo che siano vere.

Forse puoi ancora passare il test, rimane il terzo setaccio, quello dell’utilità.
– È utile che io sappia cosa mi avrebbe fatto questo amico?”
– “No, davvero.”
– “Allora”, concluse Socrate, “se ciò che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile, io preferisco non saperlo e consiglio a te di dimenticarlo”.

I tre setacci

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I due lupi

Un anziano e saggio indiano, forse Apache o forse Hopi, per educare i suoi nipoti, raccontò una storia: “Dentro di me infuria una lotta, è una lotta terribile fra due lupi.
Un lupo rappresenta la paura, la rabbia, l’invidia, il dolore, il rimorso, l’avidità, l’arroganza, l’autocommiserazione, il senso di colpa, il rancore, il senso d’inferiorità, il mentire, la vanagloria, la rivalità, il senso di superiorità e l’egoismo.
L’altro lupo rappresenta la gioia, la pace, l’amore, la speranza, il condividere, la serenità, l’umiltà, la gentilezza, l’amicizia, la compassione, la generosità, la sincerità e la fiducia.
La stessa lotta si sta svolgendo dentro di voi e anche dentro ogni altra persona.”

I nipoti rifletterono su queste parole per un po’ e poi uno di essi chiese: “Quale dei due vincerà?”

L’anziano rispose semplicemente: “Quello che nutri”.

I due lupi

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Festa al castello

Il villaggio ai piedi del castello fu svegliato dalla voce dell’araldo del castellano che leggeva un proclama nella piazza: “Il nostro signore beneamato invita tutti i suoi buoni fedeli sudditi a partecipare alla festa del suo compleanno. Ognuno riceverà una piacevole sorpresa.”

Domanda però a tutti un piccolo favore: chi partecipa alla festa abbia la gentilezza di portare un po’ d’acqua per riempire la riserva del castello che è vuota.” L’araldo ripeté più volte il proclama, poi fece dietrofront e scortato dalle guardie ritornò al castello.

Nel villaggio scoppiarono i commenti più diversi:
– “Bah! E’ il solito tiranno! Ha abbastanza servitori per farsi riempire il serbatoio. Io porterò un bicchiere d’acqua, e sarà abbastanza!”
– “Ma no! E’ sempre stato buono e generoso! Io ne porterò un barile!”
– “Io un ditale!”
-“Io una botte!”

Il mattino della festa si vide uno strano corteo salire al castello. Alcuni spingevano con tutte le loro forze grossi barili o ansimavano portando grossi secchi colmi d’acqua. Altri, sbeffeggiando i compagni di strada, portavano piccole caraffe o un bicchierino su un vassoio.

La processione entrò nel cortile del castello.
Ognuno vuotava il proprio recipiente nella grande vasca, lo posava in un angolo e poi si avviava pieno di gioia verso la sala del banchetto.
Arrosti e vino, danze e canti si succedettero, finché verso sera il signore del castello ringraziò tutti con parole gentili e si ritirò nei suoi appartamenti.

-“E la sorpresa promessa?”, brontolarono alcuni con disappunto e delusione.
Altri dimostravano una gioia soddisfatta: “Il nostro signore ci ha regalato la più magnifica delle feste!”.
Ciascuno, prima di ripartire, passò a riprendersi il recipiente. Esplosero allora delle grida che si intensificarono rapidamente. Esclamazioni di gioia o di rabbia.

I recipienti erano stati riempiti fino all’orlo di monete d’oro! “Ah! Se avessi portato più acqua”.

Festa al castello

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I tre ostacoli

Un giorno un Maestro accolse tre candidati che volevano diventare suoi discepoli.

Al primo incontro il Maestro iniziò a comportarsi in modo eccentrico a tavola, facendo discorsi assurdi e avendo atteggiamenti strani.
Disse anche talune parolacce e mangiò il suo cibo con le mani, asciugandosi la bocca al polsino della camicia.

Uno di questi tre discepoli se ne andò, scandalizzato di questo atteggiamento.

Il secondo fu avvisato dai discepoli anziani (istruiti così dal Maestro) che questi era un truffatore, che si stavano organizzando per fargliela pagare e che lui doveva stare ben attento a fidarsi di un uomo così.

Anche il secondo uscì dal gruppo.

Al terzo il Maestro proibì categoricamente di prendere la parola ogni volta che la chiedeva e di porre qualsiasi tipo di domande.

Anche il terzo se ne andò, sdegnato ed offeso.

Quando il Maestro fu solo con i suoi allievi disse: “Il comportamento di coloro che se ne sono andati illustra tre validi concetti”.
“Il primo: non giudicare a prima vista”.
“Il secondo: non giudicare cose di grande importanza da ciò che dicono gli altri”.
“Il terzo non fare della tua percezione di stima e apprezzamento altrui il metro per il tuo giudizio su di loro”.

I tre ostacoli

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La parabola del re

Un giorno il Gran Re di Persia bandì un concorso fra tutti gli artisti del suo vasto impero.

Una somma enorme sarebbe andata in premio a chi fosse riuscito a fare il ritratto più somigliante del Re.

Giunse per primo Manday l’indù, con meravigliosi colori di cui lui solo conosceva il segreto; quindi Aznavor l’armeno, portando una creta speciale; poi Wokiti l’egiziano, con scalpelli e ceselli mai visti e bellissimi blocchi di marmo.

Infine, per ultimo, si presentò Stratos il greco, munito soltanto di un sacchetto di polvere.

I dignitari di corte si mostrarono indispettiti per l’esiguità del materiale portato da Stratos il greco.

Gli altri artisti sogghignavano: “Che cosa può fare il greco con quel misero sacchetto di polvere?”.

Tutti i partecipanti al concorso furono rinchiusi per varie settimane nelle sale del palazzo reale. Una sala per ogni artista.

Nel giorno stabilito, il Re cominciò a esaminare le opere degli artisti. Ammirò i meravigliosi dipinti dell’indù, i modelli in creta colorata dell’armeno e le statue dell’egiziano.

Poi entrò nella sala riservata a Stratos il greco. Sembrava che non avesse fatto niente: con la sua polvere minuta, si era limitato a smerigliare, levigare e lucidare la parete di marmo della sala.
Quando il Re entrò poté contemplare la sua immagine perfettamente riflessa su quel marmo tirato a lucido.

Naturalmente, Stratos vinse il concorso.
Solo uno specchio poteva soddisfare pienamente il Re.

La parabola del re

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