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2 anni ago · · 0 comments

SSN. Francesca Di Donato

Gli Psicologi, come i Medici, i Farmacisti, Veterinari, etc…., sono inquadrati nella Dirigenza e per queste figure è, quindi, necessaria la Specializzazione per accedere al SSN.
Nel SSN tutti i professionisti di livello dirigenziale -come i medici, gli psicologi, i biologi, i farmacisti, etc..-  devono essere in possesso di specializzazione post-lauream.

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Deontologia art. 5: ma quale formale autorizzazione? Richiesta di revisione. Francesca Di Donato

2 anni ago · · 0 comments

Deontologia art. 5: ma quale formale autorizzazione? Richiesta di revisione. Francesca Di Donato

L’art. 5 del codice deontologico degli Psicologi italiani riporta:
“Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale, con particolare riguardo ai settori nei quali opera. La violazione dell’obbligo di formazione continua, determina un illecito disciplinare che è sanzionato sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento professionale. Riconosce i limiti della propria competenza e usa, pertanto solo strumenti teorico – pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti e riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate.”

C’è un pezzo in quella frase in evidenza che non ha alcun senso logico, deontologico e normativo, nella parte in cui richiama “ove necessario, formale autorizzazione“.

Non ci sono né tecniche né strumenti che richiedono formale autorizzazione: quindi di cosa si sta parlando? A cosa serve tale specifica?

Un collega ha ritenuto che tale parte si riferisse all’uso di certi test per il quali occorre formale autorizzazione, in nome del copyright.

Ma in che modo il copyright risponde a una formale autorizzazione? In nessun modo. Infatti, in merito a esso, l’unica clausola è il rispetto delle leggi di copyright che si verifica con l’acquisto diretto dello stesso strumento (test).
E per l’acquisto in sé, la formale autorizzazione è implicita nell’inquadramento professionale che consente -secondo classificazione prevista, nella fattispecie da A1 a C – già di per sé l’uso di quello specifico test: basta essere Psicologo per acquistare quel dato test, dunque non occorre alcuna specifica ulteriore nel codice deontologico.

Quindi se la questione è che tutto poggia sull’acquisto dello strumento, per il rispetto del copyright, allora la formale autorizzazione non sussiste in alcun modo.

Tanto più che l’art.5 richiama la formale autorizzazione in merito ai LIMITI DELLA PROPRIA COMPETENZA, non in relazione all’USO in sé dello strumento, infatti riporta “Riconosce i limiti della propria competenza e usa PERTANTO solo strumenti teorico-pratici per cui ha acquisito adeguata competenza E -ove necessario- formale autorizzazione: il PERTANTO ha valore deduttivo-conclusivo sull’affermazione che lo precede. La E è la congiunzione che coordina due elementi che nella proposizione compiono lo stesso ufficio o due proposizioni dello stesso tipo.

Quindi abbiamo un elemento in più che ci dimostra che non vi è alcun senso nel fare questo accostamento: il copyright rende necessarie delle condizioni per l’USO in sé e non per un USO COMPETENTE, dunque è un richiamo forzato.

Pare esista poi il caso specifico del AAI Adult Attachment Interview, che può essere acquistata, somministrata e videoregistrata, ma i cui protocolli di decodifica sono a uso esclusivo di figure indipendenti per conto dell’autrice. Anche questo caso non risponde alla formale autorizzazione, in quanto le figure preposte sono indipendenti: non c’è formale autorizzazione rilasciata per la stessa in nome del nostro codice, ma per personale attribuzione dell’autrice. (in cerca di fonti ufficiali del contrario, riguardo quanto sto affermando: se hai una fonte ufficiale riguardo questo ti chiedo la cortesia di condividerla)

Allora, dato che si sta rimettendo mano al codice deontologico, io Francesca Di Donato, oggi 14.11.2021, ho chiesto che si corregga l’articolo e si elimini quella parte riguardante la FORMALE AUTORIZZAZIONE, visto che, anche qualora ci si riferisse lontanamente al copyright e alle politiche commerciali sui prodotti professionali -riferimento che abbiamo già escluso analizzando minuziosamente l’articolo- il Codice deontologico non ha di fatto voce in capitolo su di essi e, quindi, quella formula non solo non esprime alcunché di verosimile, finisce anche per confondere e  favorire  un uso interpretativo errato della stessa, con ripercussioni conflittuali intra-categoria evitabili, almeno in tal caso, con un minimo sforzo.

Chiedo ai colleghi che sono d’accordo con questa analisi di avanzare la medesima richiesta, di revisione al seguente link: https://it.surveymonkey.com/r/NJLDRPL?fbclid=IwAR0E-eouXUl16X7vg76IP7jieuL_7U-_qYkvYbbriQdCETpjpqbtan9Xevk

Perché è importante questa revisione? Per non avvalorare l’idea che esistano tecniche o strumenti psicoterapeutici per cui serva formale autorizzazione. Gli strumenti e le tecniche sono TUTTI psicologici e dunque dello PSICOLOGO, anche se sceglie -in ambito clinico, dinamico e della salute- una formazione diversa dalla psicoterapia.
Ricordo l’art.21 del Codice deontologico degli Psicologi: […] Sono specifici della professione di psicologo TUTTI gli strumenti e le tecniche conoscitive e di intervento relative a processi psichici (relazionali, emotivi, cognitivi, comportamentali) basati sull’applicazione di principi, conoscenze, modelli o costrutti psicologici.

A questo punto non ci resta che attendere.

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2 anni ago · · 0 comments

Info errate tra le pareti universitarie. Francesca Di Donato

Se all’università vi dicono o vi hanno detto che ci sono delle tecniche e/o degli strumenti che si possono usare solo se ci si specializza in psicoterapia, vi stanno dando un’informazione gravemente errata.
Tutti gli strumenti e le tecniche conoscitive di intervento basati sull’applicazione di modelli o costrutti psicologici sono specifici della
professione di Psicologo.
Chi si specializza in psicoterapia può farne uso perché è Psicologo e non perché diventerà Psicologo-psicoterapeuta.
Non lo dico io, ma lo dice il codice deontologico all’art.21.
Ciò che conta è che l’uso che lo Psicologo fa di tali strumenti e tecniche sia un uso consapevole e competente (art.5 cod,deontologico) nutrito del SAPER FARE E SAPER ESSERE.
Molteplici sono le strade per sviluppare queste condizioni, a partire da risorse interne alla persona ed esterne a essa.

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Lauree abilitanti e poi…. ecco cosa accadrà. Francesca Di Donato

3 anni ago · · 0 comments

Lauree abilitanti e poi…. ecco cosa accadrà. Francesca Di Donato

In data 28 ottobre 2021 è stato approvato in via definitiva al Senato il Ddl 2305 sui titoli universitari abilitanti https://scuoladipsicologia.com/2021/10/28/attivazione-definitiva-delle-lauree-abilitanti-in-psicologia/ . Deve essere ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Cosa si intende in Italia con titolo/laurea abilitante?
Si tratta di un percorso di studi universitario che si conclude con una prova finale che ha valore di Esame di Stato abilitante alla professione. Di solito questa prova finale si compone di:
– una prova pratica nel corso della quale lo studente deve dimostrare di aver acquisito le competenze specifiche della professione
– la redazione di una tesi e la sua discussione

Il Ddl prevede che questa prova pratica verterà sulle competenze professionali acquisite con il tirocinio interno al percorso di studi e verrà valutata da una commissione composta da professionisti di comprovata esperienza.
La presenza di un tirocinio interno prevede una riforma del Corso di Laurea per adeguarlo alla nuova normativa che dovrà avvenire entro tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di questo Disegno di Legge e comunque a partire dal prossimo anno accademico.

E per chi ha conseguito, sta conseguendo il titolo e/o il tirocinio professionalizzante?
Sono previste norme transitorie, per l’abilitazione, per chi ha già conseguito il titolo e/o effettuato le 1000 ore di tirocinio professionalizzante.

Chi ha già conseguito il titolo o comunque lo conseguirà con le vecchie normative non abilitanti dovrà superare un tirocinio e una prova pratica sulla valutazione dello stesso.
Per chi invece ha concluso il tirocinio professionalizzante (sempre con le vecchie modalità non abilitanti) sosterrà una prova orale sul tirocinio, legislazione e deontologia professionale.

la norma transitoria
Art. 7.

(Specifiche disposizioni transitorie per la laurea magistrale abilitante all’esercizio della professione di psicologo)

1. Coloro che hanno conseguito o che conseguono la laurea magistrale in psicologia in base ai previgenti ordinamenti didattici non abilitanti acquisiscono l’abilitazione all’esercizio della professione di psicologo previo superamento di un tirocinio pratico-valutativo e di una prova pratica valutativa. Con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, sono stabilite la durata e le modalità di svolgimento e di valutazione del tirocinio pratico-valutativo nonché le modalità di svolgimento e di valutazione della prova pratica valutativa. Ai fini della valutazione del tirocinio di cui al presente comma, le università riconoscono le attività formative professionalizzanti svolte successivamente al corso di studi.

2. Coloro che hanno concluso il tirocinio professionale di cui all’articolo 52, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328, acquisiscono l’abilitazione all’esercizio della professione di psicologo previo superamento di una prova orale su questioni teorico-pratiche relative all’attività svolta durante il medesimo tirocinio professionale nonché su aspetti di legislazione e deontologia professionale. Con decreto del Ministro dell’università e della ricerca sono stabilite le modalità di svolgimento e di valutazione della prova orale di cui al presente comma nonché la composizione paritetica della commissione giudicatrice.

https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1300363/index.html?part=ddlpres_ddlpres1-articolato_articolato1&fbclid=IwAR2pt6e9BfUhGuJF6jQCqpcOaHCdnlBIXSMkWsvcc8NcWPouQHr4z4aCXHs

articolo redatto da Giusy Vilardo
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Attivazione definitiva delle lauree abilitanti in Psicologia. Francesca Di Donato

3 anni ago · · 0 comments

Attivazione definitiva delle lauree abilitanti in Psicologia. Francesca Di Donato

Attivazione definitiva delle lauree abilitanti in Psicologia

 

L’Assemblea ha approvato definitivamente il ddl 2305, collegato alla manovra di bilancio, recante disposizioni in materia di titoli universitari abilitanti.

Il provvedimento prevede, all’articolo 1, che l’esame di laurea magistrale abiliti all’esercizio delle professioni di odontoiatra, farmacista, medico veterinario e psicologo. Hanno svolto dichiarazione di voto favorevole, con accenti diversi, i sen. Laniece (Aut), Daniela Sbrollini (IV-PSI), che ha sollecitato l’esame in altra sede delle proposte relative ad assistenti sociali e biologi, Tiziana Drago (FdI), Simona Malpezzi (PD), Cangini (FIBP), Laforgia (Misto-LeU), Valeria Alessandrini (L-SP) che ha sollecitato un intervento organico per la semplificazione dell’accesso alle professioni, e Domenica Castellone (M5S)

Quindi l’ESAME DI STATO da ora in poi COINCIDE con la DISCUSSIONE FINALE DI LAUREA per le professioni PSICOLOGO, odontoiatra, farmacista e medico veterinario

LEGGI ANCHE LAUREE ABILITANTI E POI… PER CAPIRE COSA ACCADRà https://scuoladipsicologia.com/2021/10/28/lauree-abilitanti-e-poi/
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https://www.senato.it/3818?seduta_assemblea=24919&fbclid=IwAR3N8VgUCk8mPYAiz0WG-culTLt2_nXOKuIU6KMaiZi9S5Gz5Qh6pixHSn4
CLICCA QUI PER IL TESTO

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3 anni ago · · 0 comments

Obbligo di referto e denuncia di Marco Maccaferri Studio legale AMP.

Nell’esercizio della propria professione, uno psicologo può assistere pazienti che sono stati, o che sono tutt’ora, vittime di reato o autori materiali di reato.

In tali situazioni, il terapeuta è chiamato ed effettuare un bilanciamento tra due differenti principi, tra loro contrapposti: il segreto professionale e l’obbligo di denuncia.

La situazione è caratterizzata da problematiche sicuramente complesse, stante l’esistenza di prescrizioni tra loro antitetiche, contenute nel Codice Deontologico degli Psicologi e nella normativa penale del nostro ordinamento, entrambe volte ad assicurare adeguata tutela a valori e beni giuridici parimenti importanti.

Da un lato le regole deontologiche, garanti della riservatezza del paziente e del rapporto fiduciario instaurato con il terapeuta; dall’altro le leggi dello Stato, tese alla salvaguardia dei diritti della collettività mediante la repressione dei reati, anche attraverso la collaborazione dei singoli cittadini, chiamati a segnalare comportamenti antigiuridici appresi nello svolgimento delle proprie professioni.

Per comprendere l’esito del bilanciamento tra questi due oneri contrapposti, occorre preliminarmente analizzare il contenuto di ciascuno di essi.

Il segreto professionale

Col termine segreto professionale si intende la custodia, da parte del terapeuta, di tutto ciò che quest’ultimo viene a conoscenza dal proprio paziente.

Oggetto del segreto non sono solo fatti inerenti la psiche di quest’ultimo, bensì qualsiasi notizia conosciuta dal professionista riguardante l’assistito ed i propri congiunti, conviventi, familiari, amici e colleghi.

All’interno del vigente Codice Deontologico degli Psicologi Italiani vi sono diversi articoli che trattano specificatamente questo tema, cristallizzando il contenuto della norma di comportamento in esame.

Articolo 11

Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.

Articolo 12 (la regola generale)

Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale.

Articolo 12 (la deroga)

Lo psicologo può derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione. Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello stesso.

Articolo 13

Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica del soggetto.

Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi.

Gli articoli 11 e 12 del Codice Deontologico degli Psicologi costituiscono quindi il punto di partenza da cui muovere ogni valutazione su questo tema.

Il terapeuta deve infatti astenersi dal rivelare informazioni apprese in ragione della propria attività professionale, anche nel caso in cui venisse chiamato a rendere testimonianza dinanzi all’Autorità Giudiziaria.

Solo l’espresso consenso del paziente scioglierà il professionista dal vincolo di preservare il segreto.

Le disposizioni richiamate dagli articoli 11 e 12, in realtà, non presentano alcuna difficoltà interpretativa e consentirebbero al singolo psicologo di poter gestire ogni situazione che si dovesse presentare nell’esercizio della propria attività, senza necessità di interpellare un legale esperto in materia.

Diversamente, è la disciplina prevista dall’articolo successivo (art. 13 Cod. Deontologico) a rendere meno lineare l’interpretazione, introducendo concetti giuridici propri del diritto penale e, soprattutto, demandando alla discrezionalità del terapeuta, in alcuni casi, la possibilità di derogare totalmente o parzialmente alla propria riservatezza.

L’articolo 13 richiama infatti gli obblighi di denuncia e di referto, senza tuttavia fornire alcun chiarimento in merito agli stessi.

Si tratta di istituti propri del diritto penale che devono necessariamente essere conosciuti e, ovviamente, compresi dallo psicologo, per consentirgli di ponderare correttamente le diverse situazioni che potrebbero palesarsi nel corso delle sedute.

Obbligo di denuncia

Il dovere di riferire all’Autorità Giudiziaria è previsto dall’articolo 331 del codice di rito: “salvo quanto stabilito dall’articolo 347, i pubblici ufficiali [c.p. 357] e gli incaricati di un pubblico servizio [c.p. 358] che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito […]”.

Le sanzioni, in caso di violazione dell’obbligo, sono invece contenute negli articoli 361 e 362 del codice penale.

Queste disposizioni, però, sono indirizzate a soggetti specifici (pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio) ed hanno ad oggetto solamente i reati procedibili d’ufficio, non quelli perseguibili a querela di parte.

Pertanto, il professionista dovrà essere in grado di comprendere la qualifica di pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio e, soprattutto, di distinguere la procedibilità di un reato d’ufficio o a querela di parte.

È quindi necessario conoscere queste singole figure giuridiche, in modo da poter valutare se, ed in quali circostanze, uno psicologo è vincolato all’obbligo di denuncia nei confronti del proprio paziente, a discapito della tutela del segreto professionale.

 

Pubblico ufficiale / incaricato di pubblico servizio

La definizione di pubblico ufficiale è contenuta nell’articolo 357 del codice penale: si tratta di quei soggetti che, all’interno del nostro ordinamento, esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.

Le persone incaricate di pubblico servizio, come indicato dall’articolo 358 c.p., sono coloro i quali, a qualsiasi titolo, prestano un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, con esclusione dello svolgimento delle semplici mansioni di ordine o della prestazione di opera meramente materiale.

Reati procedibili a querela di parte o di ufficio

reati procedibili a querela di parte sono quelli rispetto ai quali lo Stato si attiva al fine di identificare e punire il colpevole solamente in presenza di un’espressa manifestazione di volontà da parte della vittima (querela), volta ad ottenere la sanzione di colui che ha posto in essere la condotta illecita.

Solitamente, rientrano in questa categoria i delitti di minor gravità, tali da destare un “contenuto” allarme sociale.

reati perseguibili d’ufficio sono invece quelli che prevedono una risposta punitiva da parte dell’Autorità competente a prescindere dalla manifestazione di volontà della vittima, trattandosi quasi sempre di fattispecie aventi ad oggetto condotte materiali particolarmente gravi.

Il tema della procedibilità di un reato è solo apparentemente privo di problematiche.

Esistono infatti numerose fattispecie illecite che, pur richiedendo tassativamente la querela nella loro ipotesi di base, diventando automaticamente perseguibili d’ufficio in presenza di una o più circostanze aggravanti.

È sufficiente menzionare due tra le ipotesi di reato che più frequentemente uno psicologo è chiamato ad affrontare nel corso delle proprie sessioni con i pazienti, per comprendere l’attualità e la portata di questo tema: le lesioni personali (art. 582 c.p.) e la violenza sessuale (art. 609 bis c.p.).

Rispetto ad entrambe, il professionista non potrà limitarsi a riscontrare la probabile verificazione della condotta illecita, dovendo necessariamente focalizzare la propria attenzione anche su tutti quegli ulteriori elementi che fungono da corollario rispetto all’evento.

Solamente in questo modo il terapeuta avrà la possibilità, dopo aver ravvisato la sussistenza di una delle circostanze tassativamente previste dalla legge, idonee ad integrare le ipotesi aggravate, di agire nel rispetto della legge.

Compito sicuramente non semplice, attesa anche la distinzione tra circostanze aggravanti che modificano la procedibilità e circostanze aggravanti che invece non escludono in alcun modo la proposizione di una querela.

Comprese queste fondamentali distinzioni, è ora possibile concentrare l’attenzione sulla figura dello psicologo.

In quali casi il dovere di denuncia risulta preminente rispetto alla tutela del segreto professionale?

Per rispondere a questo interrogativo è necessario muovere il ragionamento dal tipo di attività svolta dal terapeuta, risultando risolutiva la distinzione tra privato e pubblico.

Lo psicologo potrebbe, infatti, esercitare in qualità di libero professionista o come pubblico ufficiale / incaricato di pubblico servizio.

Solamente in quest’ultimo caso dovrà sottostare all’obbligo previsto dall’articolo 331 c.p.p.

Pubblico Ufficiale / Incaricato di pubblico servizio

Lo psicologo è alle dipendenze del Servizio Sanitario Italiano o lavora anche in convenzione con questo, piuttosto che presso un Ente Pubblico o, ancora, svolge la propria attività in convenzione con Enti Pubblici (AUSL, scuole pubbliche, comuni, ecc…) o riveste la carica di Consigliere dell’Ordine.

Libero professionista

Il soggetto svolge la propria attività all’interno di strutture o studi privati, anche in qualità di dipendente (c.d. attività extramoenia).

È qualificato come libero professionista anche il terapeuta che, pur utilizzando le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell’ospedale, eroga le proprie prestazioni al di fuori del normale orario di lavoro (c.d. attività intramoenia).

In relazione allo psicologo che esercita come libero professionista, è tuttavia necessaria un’ulteriore precisazione.

Egli, al pari di tutti i cittadini (intesi come gli appartenenti per origine o per elezione ai luoghi soggetti alla sovranità dello Stato e gli apolidi residenti nel territorio dello Stato), sarà infatti obbligato a denunciare eventuali reati commessi contro la personalità dello Stato, per i quali è prevista la pena dell’ergastolo (art. 364 c.p.).

Si tratta tuttavia di ipotesi poco frequenti, aventi ad oggetto delitti particolarmente gravi, tassativamente indicati nel codice penale, che difficilmente potranno essere collegati all’attività professionale svolta dal terapeuta.

Alla luce degli elementi analizzati fino a questo punto, è quindi possibile evidenziare la preminenza dell’obbligo di denuncia rispetto alla tutela dal segreto professionale, allorché lo psicologo:

  • Libero professionista – abbia avuto conoscenza di:
    1. un reato contro la personalità dello Stato;
    2. per il quale la legge italiana prevede la pena dell’ergastolo.
  • Pubblico ufficiale / incaricato di pubblico servizio – abbia avuto conoscenza di:
  1. un reato procedibile d’ufficio nell’esercizio delle proprie funzioni;
  2. un reato procedibile d’ufficio, non durante le ore dedicate alla propria attività istituzionale (pubblica) ma a causa di questa, cioè, anche al di fuori dell’orario di servizio, nel caso in cui la persona stia riferendo il fatto perché a conoscenza della funzione pubblica ricoperta dal terapeuta.

In ogni caso, pur adempiendo all’obbligo di denuncia, lo psicologo dovrà necessariamente limitare allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica del soggetto (art. 13 Cod. Deontologico).

Obbligo di referto

Ulteriore argomento che merita di essere affrontato in questa sede è la previsione dell’articolo 365 del codice penale.

La norma introduce l’istituto giuridico del “referto”, inteso come comunicazione scritta obbligatoria, indirizzata all’Autorità Giudiziaria, da parte di un soggetto che, nell’esercizio di una professione sanitaria, sia venuto a conoscenza un delitto procedibile d’ufficio.

È tuttavia consentito derogare all’onere di “segnalazione”, nel momento in cui questo potrebbe esporre l’assistito al rischio di un procedimento penale (art. 365 co. II c.p.).

Qualora il professionista sanitario sia un pubblico ufficiale / incaricato di pubblico servizio, la sua segnalazione verrà definita “rapporto” ed egli non potrà in alcun caso esimersi dall’effettuare la denuncia.

La qualifiche di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio risultano, infatti, preminenti rispetto a quella di professionista sanitario.

Per quanto attiene gli oneri di denuncia che caratterizzano i professionisti sanitari, gli stessi possono essere quindi riassunti come segue:

  • nessun obbligo di denuncia sussiste in relazione a reati procedibili a querela di parte, sia per il pubblico ufficiale/ incaricato di pubblico sia per il libero professionista;
  • in caso di reato perseguibile d’ufficio, il libero professionista è tenuto a darne comunicazione all’Autorità Giudiziaria redigendo un referto;
  • il referto non è tuttavia obbligatorio:
  1. se espone il paziente al rischio di un procedimento penale;
  2. se espone il libero professionista ad un possibile danno nel fisico, nella libertà o nell’onore della propria persona o di quella di un proprio congiunto.

 

Psicologo e professioni sanitarie

L’articolo 365 del codice penale ha però introdotto un nuovo elemento, in grado di influenzare in maniera significativa il bilanciamento tra obbligo di denuncia e tutela del segreto professionale.

Occorre quindi comprendere se quella dello psicologo sia una professione sanitaria.

L’interrogativo è sicuramente di fondamentale importanza: una risposta affermativa amplierebbe esponenzialmente il ventaglio dei possibili scenari che il terapeuta potrebbe dover gestire nello svolgimento del proprio lavoro.

Tuttavia, si tratta di un quesito che presenta non poche problematiche, non essendoci, ad oggi, una risposta univoca ed immediata.

A contrario, è necessario effettuare un’operazione di analisi interpretativa tra differenti fonti del diritto, per addivenire ad una conclusione.

Il “Testo Unico delle Leggi Sanitarie”, redatto nel 1934 e tutt’ora in vigore, contiene un elenco dettagliato delle professioni che possono essere qualificate come “sanitarie”.

Invero l’articolo 99 T.U.LL.SS., recante detto elenco, non menziona la figura dello psicologo “tout court”, così come quelle più “specialistiche” dello psicoterapeuta o dello psicologo clinico, apparentemente escludendole dalla previsione ex art. 365 c.p.

Nel corso degli anni, tanto la legislazione nazionale, quanto la dottrina e la giurisprudenza, hanno tuttavia effettuato un’interpretazione estensiva delle c.d. professioni sanitarie, attribuendo siffatta qualifica non solo all’attività specificatamente “psicoterapeutica” ma anche tutte le altre attività “cliniche” (psicodiagnostiche, di supporto o sostegno psicologico, riabilitative ecc.), rivolte direttamente alla “persona”.

Per tale motivo la facoltà di derogare all’obbligo di denuncia, privilegiando la tutela del proprio paziente come previsto dal secondo comma dell’articolo 365 del codice penale, potrebbe trovare applicazione anche nei confronti dello psicologo.

Condizione imprescindibile affinché ciò accada è la sussistenza, in capo all’attività svolta dal professionista, di tutti gli ulteriori elementi espositi in narrativa.

La complessità della materia è innegabile.

L’accavallamento di differenti istituti giuridici, spesso richiamati all’interno di singole norme senza che venga fornita una spiegazione adeguata sul loro significato, impone al terapeuta di condurre una scrupolosa valutazione, finalizzata a comprendere gli obblighi di legge cui deve sottostare.

Un onere gravoso per il professionista, già impegnato a svolgere un lavoro certamente delicato, che vede quale condizione imprescindibile la costruzione di un solido rapporto fiduciario col proprio paziente.

Risulta quindi evidente l’opportunità di avvalersi di una consulenza esterna, in grado di illustrare allo psicologo i limiti e gli oneri connessi all’esercizio della propria attività.
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FONTE: Studio legale AMP – Marco Maccaferri https://www.studiolegaleamp.com/blog/le-professioni-sanitarie-e-lobbligo-di-referto/
Sito di riferimento https://www.studiolegaleamp.com/

3 anni ago · · 0 comments

La psicoterapia è stata inventata dagli Psichiatri? Francesca Di Donato

Accade di tanto intanto che qualcuno faccia affermazioni che travisano la natura e la storia della nostra professione o delle attività coinvolte.

Oggi prendiamo in esame: “La psicoterapia l’hanno inventata gli psichiatri”

1- non si può parlare di INVENZIONE DELLA PSICOTERAPIA: è la PAROLA psicoterapia che risale al 1889 è a opera di uno psichiatra, per indicare un metodo di cura della psiche, che però già esisteva.
Le radici della psicologia con tutti i tentativi di cura attingono la loro linfa dagli sciamani.

– non si può parlare neanche solo di INVENZIONE fino a se stessa, perché l’attenzione rivolta alla sofferenza psichica è una naturale propensione ed evoluzione insita nella stessa natura umana.
Infatti nessuno cura nessuno, ma è la psiche che cura se stessa attraverso qualcuno/qualcosa.

Psicoterapia infatti NON significa “cura della psiche”, ma CURA ATTRAVERSO LA PSICHE.

Ma veniamo a oggi, quando è diventato tutto un fatto giuridico e dall’essere un termine ombrello ha finito con l’acquisire una valenza specifica: la psicoterapia non è, in realtà, in termini applicativi,  una cosa diversa dagli atti tipici della professione espressi nell’art.1 della legge 56/89.
Semplicemente gli atti tipici dell’art.1, quando vengono acquisiti attraverso un iter formativo di 4 o 5 anni anni o attraverso 60 crediti dedicati, prendono il nome di psicoterapia, che -come formazione- è frutto di un compromesso con i MEDICI, in modo che potessero continuare a occuparsi di ciò di cui già si occupavano prima della nascita della nostra professione.
Senza questo compromesso che ha preso forma con l’art3 L.56/89 , i medici avrebbero incorso in abuso di professione di Psicologo.

Se la specializzazione in psicoterapia li salva dall’abuso di professione di Psicologo significa che:
– L’art 3 non apre le porte a un agire diverso, ma apre, ai medici, le porte dell’agire della professione di psicologo.
– Quello che i medici fanno, una volta specializzati in psicoterapia, attiene, quindi, all’agire dello psicologo e…
– l’agire dello psicologo si dispiega attraverso i suoi atti tipici ovvero quelli espressi nell’art.1 L 56/89

Se vale per i Medici, vale per gli Psicologi-psicoterapeuti.

Gli psicologi in questa folle rincorsa a raggiungere lo status dei medici, hanno voluto prendersi a braccio di ferro qualcosa che avrebbero potuto fare ugualmente, semplicemente definendola genericamente terapia psicologica, il termine ombrello che include, oggi, tutte le forme di terapia della nostra professione : terapia preventiva, terapia supportiva, terapia abilitativo-riabilitativa, psicoterapia, ove la psicoterapia, in Italia, è -giuridicamente e storicamente parlando- terapia preventiva, supportiva e abilitativo-riabilitativa espressi a titolo specialistico in un modello di intervento.

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Francesca Di Donato – Psicologa
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3 anni ago · · 0 comments

Questione di atti tipici. Francesca Di Donato

Gli atti tipici di TUTTI gli psicologi sono:
La prevenzione -primaria, secondaria, terziaria-
Il sostegno psicologico
L’abilitazione-riabilitazione
La diagnosi
Atti questi con i quale ci si può occupare di condizioni di natura psicopatologica e non, perché sono riconducibili alla psicologia clinica, dinamica e della salute.

Il counseling psicologico non è una cosa diversa da questi atti, semplicemente tende prevalentemente, ma non esclusivamente, attraverso questi atti, a concentrarsi su dimensioni di natura non psicopatologica e di breve durata.

La psicoterapia non è una cosa diversa dagli atti tipici sopra descritti. Non si differenzia quindi a livello di attività, ma per la qualifica di specialista che porta con sé.
Infatti l’articolo normativo che la regolamenta nasce per i medici, per consentire loro di usare gli atti tipici dello Psicologo senza incorrere in abuso di professione.

TUTTO quello nominato finora prende genericamente il nome di terapia psicologica: terapia preventiva, terapia supportiva, terapia abilitativo-riabilitativa, psicoterapia sono terapie psicologiche.

La consulenza psicologica intesa come consulto ha una dimensione a sé stante e anticipa, fa da premessa a tutti gli interventi di cui sopra.

La consulenza trattata, invece, nel suo significato generico, rappresenta TUTTE le attività dello Psicologo, siano esse specialistiche in un modello di intervento, come nel caso della psicoterapia, o non specialistiche.

Quindi se scrivo “consulenza e psicoterapia”:
– se intendo consulenza come consulto, faccio un torto a non considerare tutte le altre possibili attività;
– se intendo consulenza nella sua accezione generica, sbaglio a mettere fuori la psicoterapia

Il rischio è mandare altrimenti un messaggio confusivo all’utenza oltre che rinforzare le false credenze già presenti nella categoria.

 

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3 anni ago · · 0 comments

Psicologia clinica e terapia. Francesca Di Donato

TUTTA la psicologia clinica è terapia, per definizione.

Non può esserci qualcosa di CLINICO che non sia terapeutico.

CLINICO significa appunto “relativo alla diagnosi, allo studio e alla cura/terapia del malato”. Lo definisce così la Treccani. CURA e TERAPIA in italiano sono sinonimi.
La parola stessa TERAPIA nasce, infatti, in medicina, proprio in rapporto al concetto di malattia. 

In Psicologia clinica, dunque, la diagnosi, la prevenzione, l’abilitazione-riabilitazione e il sostegno sono terapie: terapia preventiva, terapia supportiva, terapia abilitativo-riabilitativa.
Per prevenzione si intende prevenzione primaria, secondaria, terziaria. 

La psicoterapia, legalmente e praticamente parlando (la pratica deve seguire la legge, la legge regola la pratica), è prevenzione, sostegno, abilitazione-riabilitazione esercitati in forma SPECIALISTICA in un modello di intervento PSICOLOGICO. Dunque, essa non è un atto tipico diverso.

Quindi:
– uno psicologo, specializzato o abilitato all’esercizio della psicoterapia, continuerà con i pazienti ad esercitare gli atti tipici dello psicologo espressi dall’art.1 della legge 56/89 e lo farà con il titolo di specialista in un modello di intervento.
– un medico specializzato o abilitato all’esercizio della psicoterapia potrà esercitare gli atti tipici dello psicologo espressi dall’art.1 della legge 56/89 senza incorrere in abuso di professione: infatti l’art.3 L.56/89 nasce per loro e non per noi, per consentirgli proprio questo.

 “La psicoterapia è un particolare sottoinsieme di modalità di intervento clinico specialistico”. Un sottoinsieme. Non lo dico io, lo dice il CNOP, ma basterebbe la logica. 

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Francesca Di Donato – Psicologa
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